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Benetton si prepara a lasciare Piazza Affari

La famiglia di Ponzano Veneto è stata tra i protagonisti assoluti dell’economia italiana dell’ultimo mezzo secolo, intrecciando la sua storia a quella dei maggiori gruppi imprenditoriali privati e pubblici italiani.
A cura di Luca Spoldi
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Benetton Luciano

L’attesa è finita: una nota di Edizione Srl, holding attraverso cui la famiglia Benetton controlla il 67,08% di Benetton Group, annuncia che il Cda riunitosi oggi ha deciso di lanciare un’Opa sulla totalità dei titoli non in suo possesso (pari al 32,92% del capitale) per giungere al delisting del titlo, al prezzo di 4,6 euro per azione, superiore dunque ai 4,05 euro segnati come ultimo prezzo prima della sospensione del titolo dalle contrattazioni scattata ieri al diffondersi di indiscrezioni che anticipavano l’imminente delisting del titolo. Si tratta peraltro di un prezzo inferiore alle 10.300 lire a cui lo stesso Benetton Group debuttò a Piazza Affari nel luglio del 1986.

Quella dei Benetton è nel bene e nel male una saga tipicamente italiana che val la pena di ricordare: nato su impulso di Luciano Benetton e dei fratelli Giuliana, Gilberto e Carlo nel 1965 come una piccola azienda famigliare operante in un campo, la maglieria, dove non mancavano concorrenti, il gruppo Benetton è diventato negli anni una multinazionale presente in 120 Paesi del mondo con marchi come United Colors of Benetton, Undercolors of Benetton, Sisley, Playlife e Killer Loop ed una produzione pari ad oltre 150 milioni di capi all’anno, distribuiti attraverso una rete commerciale di oltre 6.400 negozi in tutto il mondo, in gran parte in franchising (anche se dal 2009 il gruppo ha avviato il “progetto retail” avviando una piccola rete di negozi “flagship” di proprietà che ora, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbero essere scorporati in una Newco che verrebbe poi ceduta o apportata in una joint venture con operatori del settore per valorizzare il relativo patrimonio immobiliare), capaci di generare un fatturato complessivo superiore ai 2 miliardi di euro.

Nel frattempo però il “core business” della famiglia si è andato diversificando, portando alla nascita di Edizione Srl, holding finanziaria il cui fatturato consolidato ha raggiunto nel 2010 gli 11,6 miliardi di euro a fronte di un patrimonio netto di 5,5 miliardi di euro di cui Benetton rappresenta poco più del 10% (590 milioni di euro), mentre la parte più corposa spetta ad altre due celebri controllate, Autogrill (primo operatore mondiale nel settore della ristorazione e retail per chi viaggia anche a controllate come HmsHost, Aldeasa, World Duty Free e Alpha Group, 1.570 milioni di euro nel patrimonio di Edizione Srl, un fatturato di 5.703,5 milioni di euro e oltre 103 milioni di utile nel 2010) e Atlantia (società che controlla il 100% di Autostrade per l’Italia, prima concessionaria autostradale italiana, oltre ad avere altre partecipazioni in giro per il mondo, che pesa 2.353 milioni di euro sul patrimonio netto di Edizione Srl a fronte di un fatturato di 3.750 milioni e un utile di 683 milioni nel 2010).

A queste si affiancano altre partecipazioni, dal 32,7% di Eurostazioni Spa (che a sua volta controlla il 40% di Grandi Stazioni, gestore delle 13 maggiori stazioni ferroviarie italiane) alle quote in Telecom Italia, Aeroporti di Roma, Sagat (gestore dell’aeroporto di Torino), Aeroporti di Firenze, Aeroporto di Bologna e poi ancora un ricco portafoglio di piccole ma preziose presenze in “salotti buoni” come Rcs Mediagroup, Caltagirone Editore, Il Sole 24 Ore, Generali, Pirelli & C. e Mediobanca.

Qualcosa in questi anni è anche stato ceduto, come accaduto nel 2003 al polo di marchi sportivi (Nordica, Prince, Rollerblade), o alla catena di supermercati GS (a sua volta controllante, tra l’altro, della catena DìperDì) fondata nel 1961 da Marco Brunelli e Guido Caprotti (già cofondatori nel 1957 con la famiglia Crespi e con Nelson Rockfeller della catena Esselunga, il cui 51% i fratelli Guido e Bernardo Caprotti rilevarono in quello stesso 1961 pagandolo 4 milioni di dollari) e poi passataal gruppo pubblico Sme (originariamente nato come Società Meridionale di Elettricità e che poi reinvestì i capitali ricevuti a titolo di indennizzo a seguito della nazionalizzazione delle aziende elettriche italiane in marchi alimentari come Alemagna, Bertolli, Motta, Cirio, De Rica, Italgel, Mellin, Star, Surgela, Autogrill e, appunto, GS) e che prima di finire, nel 2000, sotto l’attuale proprietario, il gruppo francese Carrefour, passò per cinque anni sotto il controllo dei Benetton quando questi con Luciano Del Vecchio (patron di Luxottica) rilevarono (era il 1995) la stessa Sme, privatizzata dall’Iri guidato da Romano Prodi con la consulenza di Mediobanca.

Una vicenda, questa delle privatizzazioni dell’Iri, che occuperebbe non un articolo ma un libro intero tante furono le aziende e i personaggi coinvolti sia a livello politico, da Bettino Craxi a Carlo Azeglio Ciampi, sia economico, da Carlo De Benedetti a Silvio Berlusconi passando per i Barilla e i Ferrero, che ancora più testimonia il ruolo centrale che nel corso degli anni la famiglia di Ponzano Veneto ha saputo ritagliarsi in quell’economia “di relazioni” che ha caratterizzato gran parte del capitalismo familiare italiano, persino quando le vicende hanno riguardato aziende modernamente organizzate e assunte a dimensioni internazionali.

Ultima curiosità, il giorno del debutto di Benetton Group, in quel lontano luglio 1986, fu lo stesso di Unipol (ora sotto i riflettori per la controversa operazione di “salvataggio” dell’impero di un’altra ex “grande famiglia” di imprenditori italiani, i Ligresti, che dal settore immobiliare sono passati negli anni al comparto assicurativo con Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni e alla gestione di un piccolo tesoretto di partecipazioni nei “salotti buoni”) e di Calcestruzzi, fondata negli anni Cinquanta dal gruppo Ferruzzi (altra famiglia autrice di una notevole ma sfortunata parabola finanziario-imprenditoriale a cavallo degli anni Ottanta-Novanta, giungendo a controllare il gruppo Montedison prima di essere travolta dalle vicende legate a Enimont e a Tangentopoli) e poi rilevata nel 1997 dal gruppo Italmobiliare della famiglia Pesenti, che tanto per non smentirsi prima di concentrarsi nel solo settore cementifero avevano attraversato una fase di vaste diversificazioni con partecipazioni in banche come Ibi e assicurazioni come Ras (ceduta al gruppo tedesco Allianz nel 1984) ma anche nell’auto con Lancia (che i Pesenti rilevarono dai Lancia nel 1956 e che rivendettero al gruppo Agnelli nel 1969, anno in cui il gruppo di Torino rilevò anche i gruppi Autobianchi e Ferrari), del quotidiano La Notte e della Franco Tosi Meccanica (ceduta negli anni Novanta all’Ansaldo del gruppo Finmeccanica).

Se siete riusciti a seguirmi in questa girandola di nomi e protagonisti noterete che sono sempre gli stessi che continuano a rincorrersi continuamente da quasi mezzo secolo, a testimonianza di un capitalismo che, come il resto del paese, appare ingessato e incapace di favorire un ricambio generazionale, aziendale e settoriale. Salvo quando questo può fare gli interessi degli stessi uomini di sempre, perché in fondo tutto deve sembrare potersi cambiare, affinchè nulla cambi realmente in modo troppo drastico, no?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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