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Bankitalia: il debito pubblico è salito anche nel 2016

Il debito pubblico che grava idealmente sulla testa di ogni italiano è arrivato a fine 2016 a superare i 36.500 euro, complice un maggior indebitamento della pubblica amministarzione di 45 miliardi che ha vanificato 4,9 miliardi di risparmi sul costo del debito dovuto ai tassi ai minimi storici…
A cura di Luca Spoldi
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Nonostante il calo dei tassi in emissione sui titoli di stato a nuovi minimi storici (0,55% medio a fine dicembre, contro lo 0,7% di fine 2015) abbia consentito lo scorso anno di ridurre il debito pubblico di 4,9 miliardi di euro, il debito stesso a fine 2016 è aumentato di 45 miliardi, toccando quota 2.217,7 miliardi di euro, pari al 132,3% del Pil. Lo ha certificato oggi la Banca d’Italia, segnalando come il dato sia in realtà già in calo di 38,2 miliardi rispetto al picco record di 2.255,9 miliardi toccato a fine luglio e di 13,2 miliardi inferiore anche rispetto ai 2.230,9 miliardi di fine novembre.

Visto che a fine 2015 la popolazione italiana ammontava a circa 60,66 milioni, su ciascun residente italiano grava un debito di circa 36.560 euro. L’aumento del debito è stata diretta conseguenza, nel 2016, del maggior fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche (cresciuto di 42,5 miliardi per effetto di un maggior indebitamento delle amministrazioni centrali per 48,6 miliardi solo marginalmente compensato dal calo di 3,5 miliardi del debito delle amministrazioni locali) e dell’aumento (di  7,4 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro (a fine anno pari a 43,1 miliardi).

La vita media residua del debito è salita a 7,3 anni: per poco più di 1.867 miliardi di euro il debito è rappresentato da titoli di stato, i quali hanno una vita media residua di poco inferiore al debito totale e pari a 6,76 (era pari a 6,52 a fine 2015). Il tasso medio che lo stato italiano paga su questa montagna di debito è di poco inferiore al 3%, il che significa che ancora per qualche tempo, nonostante le tensioni su rendimenti e spread sui Btp italiani (che da soli costituiscono quasi il 70% di tutti i titoli di stato in circolazione) il costo medio del debito continuerà a calare anche a fronte di un rialzo che in parte già si nota sui tassi in emissione.

Nelle aste del 13 febbraio scorso, ad esempio, il Btp a 3 anni ha visto risalire il rendimento allo 0,25% lordo annuo dallo 0,06% toccato in gennaio, il Btp a 7 anni è salito all’1,59% dall’1,15%, mentre il Btp a 30 anni è passato al 3,43% dal 3,14%. Visto che la crescita comprata “a debito” dal governo Renzi è risultata pari allo 0,9% nel 2016, mentre il debito stesso è cresciuto di più del doppio (i 45 miliardi in più rappresentano circa il 2% del debito esistente a fine 2015), appare evidente che continuare sulla strada dei “bonus” non serve a nulla, come del resto già confermano le previsioni della Ue che ci vedono fanalino di coda in Europa con un previsto incremento del Pil dello 0,9% quest’anno e dell’1,1% l’anno prossimo.

Personalmente non mi trovo a mio agio con un debito di oltre 36.500 euro sulla mia testa (oltre che per una cifra analoga su quelle di mio figlio e di mia moglie) che cresce del 3% all’anno, grazie ad un indebitamento che cresce del 2% all’anno, producendo una crescita a mala pena pari all’1% all’anno. Indipendentemente dalla valuta in cui sia denominato, un rapporto debito/Pil in cui il numeratore cresce da due a tre volte il numeratore (a seconda che consideriamo solo la crescita della spesa pubblica, ossia del debito delle Amministrazioni pubbliche centrali, o il costo dell’intero stock di debito già emesso) richiederà presto o tardi che qualcuno ridefinisca il perimetro della spesa pubblica.

Sarà cioè necessario procedere ad una “spending review che non si limiti a pochi interventi di cosmesi ma affronti le due voci più importanti, la previdenza e l’assistenza sanitaria. Nonostante tutti i correttivi adottati il modello attuale appare destinato a crollare sotto il suo stesso peso a meno che, naturalmente, non si riesca a far ripartire l’Italia, il che significa gli investimenti produttivi nel nostro paese.

Per riuscirci si dovrebbero tuttavia concretizzare quegli interventi a lungo attesi nel campo della certezza del diritto, dei tempi di pagamento, della riduzione della burocrazia che i governi italiani sembrano trovare persino più difficili da effettuare che non i già poco amati “tagli” alla spesa. Altre strade, tuttavia, non ve ne sono se non quella di arrivare un giorno ad una ristrutturazione del debito pubblico italiano, con tutte le conseguenze pesantemente negative che deriverebbero per gli italiani di ogni reddito e latitudine.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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