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Banche: tutti i problemi che restano da affrontare nel 2017

L’avvio da record, in borsa, di Banco Bpm potrebbe far pensare che la crisi bancaria italiana sia stata superata. Non è così, perchè i problemi legati alla cessione delle sofferenze e alla ricapitalizzazione degli istituti rimangono, mentre si vanno raggiungendo i primi accordi sugli esuberi…
A cura di Luca Spoldi
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Anno nuovo, vita nuova per il comparto bancario italiano, più o meno. State attenti a non farvi abbagliare dai numeri record del titolo Banco Bpm, nato dall’integrazione di Bpm e Banco Popolare, che nelle prime 3 sedute dell’anno ha guadagnato il 17% circa: i problemi emersi nel corso del 2016 sono ancora tutti presenti, anche se qualcosa inizia a muoversi.

Partiamo dalle good bank: i quattro istituti nati dalle ceneri di Banca Marche, Banca Etruria, Carichieti e CariFe, ripulite della maggior parte delle sofferenze (finite in una “bad bank”), non sono ancora state cedute rispetto alla previsione iniziale di una definizione della vicenda entro il 30 settembre. Per tre di esse è pronta a intervenire Ubi Banca ma la prevista cessione delle ulteriori sofferenze emerse nel corso del 2016 al fondo Atlante 2 (intenzionato a rilevare circa  i due terzi dei 3,5 miliardi di Npl che i tre istituti devono cedere prima di passare ad Ubi Banca) è slittata di qualche giorno in attesa del via libera ufficiale da parte delle autorità Ue.

Per la quarta good bank (CariFe), si è nel frattempo raggiunto l’accordo coi sindacati per procedere a 350 esuberi su base volontaria rispetto ai 400 inizialmente ipotizzati, dei circa 900 dipendenti attualmente in forza all’istituto. Questo dovrebbe facilitare la successiva vendita e integrazione in Bper Banca anche se ufficialmente l’istituto emiliano, che ha fatto sapere come non sia stato esercitato alcun recesso a seguito della trasformazione in Spa, non ha ad oggi presentato alcuna offerta.

Per le due ex popolari venete (BpVi e Veneto Banca) il 2017 dovrebbe portare all’apertura dei processi a carico degli ex vertici, all’avvio del più volte ventilato progetto di fusione, all’approvazione dei bilanci con una formalizzazione della proposta di ristoro per i vecchi soci, la cessione di 8 miliardi di euro di Npol e infine ad aumenti di capitale stimabili tra i 2,5 e i 3 miliardi (dalla cessione degli Npl si attende infatti una perdita ulteriore di 2,8-2,9 miliardi). Dato che le risorse del fondo Atlante sono già state quasi completamente impegnate, salvo che il fondo si sfili totalmente dall’operazione Mps, è possibile che anche per questi due istituti sarà necessario l’intervento dello stato.

Mps al momento resta sospeso in borsa: il valore del titolo del resto è stato azzerato dall’avvio dell’operazione di ricapitalizzazione preventiva che porterà ad una nazionalizzazione (si spera temporanea) dell’istituto senese nel cui capitale il Tesoro dovrebbe arrivare a detenere una quota tra il 40% e il 70%, con un investimento di 6,6 miliardi di euro. Di questi 2,1 miliardi serviranno per riallineare il Cet1 ratio alla soglia dell’8% e 2,5 miliardi per riportare il Total capital ratio all’11,5%, mentre altri 2 miliardi saranno destinati al ristoro dei sottoscrittori retail di bond subordinati.

Ai 6,6 miliardi di capitali pubblici si sommeranno altri 2,2 miliardi di oneri in capo a soggetti diversi dallo Stato. Nel frattempo anche in casa Mps si è raggiunto un accordo coi sindacati legati ai 600 esuberi volontari previsti dal piano industriale 2016-2019 (che andrà peraltro aggiornato), mentre il management sta valutando l’ipotesi di tornare a emettere due bond entro febbraio, tornando sul mercato per la prima volta dal novembre 2015.

Sullo sfondo resta da decidere come procedere per la cartolarizzazione dei 27,6 miliardi di euro, ora che potrebbero esserci maggiori risorse (e quindi implicitamente una minore necessità di valutazioni “fuori mercato”) e, forse, la possibilità che si arrivi a creare, come per le “good bank” una “bad bank” cui cedere Npl in cambio di azioni e che potrebbe anche aprirsi ad altri istituti, avvicinandosi almeno in parte alla più volte auspicata ma mai decollata “bad bank di sistema”.

Infine Banca Carige: l’istituto deve procedere nelle prossime settimane alla cessione di un miliardo di Npl lordi e dopo aver già aumentato il capitale di 800 milioni di euro nel 2014 e di 850 milioni a inizio 2015, l’istituto potrebbe dover aumentare ulteriormente il capitale, ma l’azionista di controllo, il gruppo Malacalza, ripete da settembre che “l’aumento non è necessario”.

Banca Carige dovrà raggiungere un Cet1 ratio non inferiore al 9% e un Total capital ratio dell’11,25% ma quest’ultimo parametro potrebbe essere rivisto “una volta ridotto il livello delle esposizioni deteriorate”. In compenso il requisito patrimoniale complessivo (Overall capital requirement) minimo dovrà essere del 12,50%. Nel caso dell’istituto ligure un intervento pubblico appare meno probabile, ma non è detto che non si possa materializzare ad esempio attraverso un intervento di Cassa depositi e prestiti per agevolare la cessione di Npl.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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