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Opinioni

Banche popolari italiane pronte a giocare a risiko

Anche se la riforma delle banche popolari interesserà solo 10 istituti di una settantina e non sarà completata prima di fine 2016, in borsa si scommette su nuove fusioni e acquisizioni che potrebbero modificare il volto del credito italiano…
A cura di Luca Spoldi
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La riforma del credito popolare all’esame del parlamento non avverrà dalla sera alla mattina. Una volta convertito in legge il decreto emanato il mese scorso dal governo (che tra le altre cose prevede che le 10 maggiori banche popolari adottino la forma giuridica della società per azione e rinuncino al voto capitario, in base al quale ciascun socio può esprimere un voto indipendentemente dalla percentuale di capitale posseduto) sarà necessario attendere non meno di due mesi per veder emanate le norme attuative da parte della Banca d’Italia, come ha già spiegato il direttore generale di Via Nazionale, Salvatore Rossi, ricordando come per quanto Banca d’Italia impiegherà “pochissimo tempo”, la norma preveda “una consultazione del mercato di 60 giorni”. A quel punto le banche in questione, sette delle quali quotate in borsa (Banco Popolare, Ubi Banca, Bper, Bpm, Banca popolare di Sondrio, Creval e Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio) e tre non quotate (Banca Popolare di Vicenza, Vento Banca e Banca Popolare di Bari) avranno 18 mesi di tempo per adeguarsi.

Morale: prima della fine del 2016 sarà difficile vedere grandi sconvolgimenti, ma già ora in borsa sono iniziate (o meglio ripartite) le grandi manovre per capire quali conseguenze avrà il nuovo stato di cose, con analisti e broker che scommettono in una serie di fusioni e acquisizioni che potrebbero mutare il volto del settore creditizio italiano almeno per quanto riguarda gli istituti di media dimensione. Negli ultimi giorni fonti vicine a Bpm hanno fatto trapelare come l’istituto, già in passato al centro di ipotesi di aggregazione con Bper e Bpvi nell’ambito della cosiddetta “super popolare del Nord” poi naufragate a causa della ostilità dei dipendenti-soci e della perplessità del management per quanto riguarda la governance del “supergruppo” nascituro, avrebbe nuovamente ripreso in mano alcuni dossier. Non è un mistero che la stampa punti ad un matrimonio Bpm-Banca Carige, ma le fonti in questioni hanno segnalato come piuttosto una prima alleanza potrebbe cercarsi con Bper.

Le due banche hanno al momento una rete abbastanza complementare e non presentano eccessive problematiche per quanto riguarda i “bad loan” ossia i crediti problematici, che come noto sono il tallone d’Achille di molte banche italiane. Il matrimonio avrebbe dunque una logica industriale e potrebbe dare vita a un gruppo con circa 1.800 sportelli in tutta Italia (di cui poco più di 1.140 di Bper, che nei prossimi mesi chiuderà circa 130 sportelli in tutta Italia, e le restanti 650-660 di Bpm), con una capitalizzazione che sulla base delle attuali quotazioni di borsa arriverebbe a circa 6,8 miliardi di euro, con gli attuali soci Bpm attorno al 52% e i soci Bper al 48%, cosa che lascia presagire un matrimonio “alla pari”. Fatto questo primo passo l’idea (che per ora resta tale non essendo stato avviato alcun contatto con altri istituti) sarebbe quello di integrare anche Banca Carige e i suoi circa 350 sportelli.

Nel frattempo, effettuato il previsto aumento da 700 milioni di euro, l’istituto ligure dovrebbe arrivare ad una capitalizzazione di borsa di 1,3-1,4 miliardi, ossia circa un quinto della coppia Bpm-Bper. Se anche questa operazione andasse in porto nascerebbe un polo “a tre” in grado di disporre di 2.500 sportelli in tutta Italia e di contendere il ruolo di terzo polo alle spalle di Intesa Sanpaolo (45,6 miliardi di capitalizzazione, 5.867 sportelli) e a Unicredit (quasi 31,3 miliardi di capitalizzazione, poco meno di 3.500 sportelli destinati a scendere a 3.250 entro fine anno), ma davanti a Ubi Banca (5,9 miliardi di capitalizzazione, una rete di sportelli destinata a scendere attorno alle 1.600 unità) e Banco Popolare (4,7 miliardi di capitalizzazione, poco meno di 1.300 sportelli).

Non è però detto che questo schema non subisca variazioni. Ai giornalisti che chiedevano di commentare le voci relative ad un possibile matrimonio con Ubi Banca e Mps (che coi sui 43,3 miliardi di crediti problematici resta la “grande malata” del credito tricolore ma che dopo l’atteso aumento da 3 miliardi potrebbe capitalizzare entro giugno 5,5-5,6 miliardi), l’amministratore delegato di Banco Popolare, Pier Francesco Saviotti, ha ribadito: sono solo “fantasie” giornalistiche aggiungendo tuttavia come esistano “una serie di banche sinergiche con noi” e lasciando intendere che tra queste possa esservi proprio Bpm. Saviotti ha concluso ribadendo che al momento Banco Popolare non ha alcun contatto con altre banche, “nemmeno a livello informale”.

Dunque lo scenario è tutt’altro che definito, ma certo un matrimonio Bpm-Banco Popolare, dando vita a un gruppo da circa 8,4 miliardi di capitalizzazione e con poco meno di 2.000 sportelli nel Nord e Centro Italia, farebbe prendere strade diverse anche a molti altri protagonisti della partite, a cominciare proprio da Banca Carige (che non è detto a quel punto venga poi integrata nel progetto) e Mps (che potrebbe convolare a giuste nozze solo con Ubi Banca, una volta chiarito che fine faranno i “bad loan”).

Ancora da accasare, ma pronte ad approfittare di qualche passo falso dei concorrenti, resterebbero Popolare Bari, Bpvi, che lo scorso anno ha inutilmente provato a trovare un’intesa con Veneto Banca (dossier che potrebbe presto tornare d’attualità) e Creval, attualmente interessato alla cessione del 100% di Istituto centrale delle banche popolari (Icbpi) di cui è primo socio col 20,4%. Per Icbpi sarebbero già giunte sette offerte, ancora non vincolanti, con valutazioni tra gli 1,9 e i 2,4 miliardi, con un potenziale incasso per il Credito Valtellinese tra i 390 e i 480 milioni di euro, quanto basta per ambire ad un ruolo di cacciatore più che di preda.

Sempre che a quel punto la stessa Bper (a sua volta apparsa interessata a Popolare Etruria senza che l’affare sia andato a buon fine) non decida di farsi “polo aggregante” rimescolando nuovamente la carte in tavola e la rete di alleanze industriali e politiche che potrebbero nascere. Come si vede la riforma popolare voluta dal governo Renzi potrebbe cambiare significativamente volto alla mappa del credito italiano per quanto riguarda il tema del controllo, che tanto interessa non solo ma anche al mondo della politica. Che questo poi possa comportare una rivoluzione anche delle pratiche operative e una maggiore propensione a sostenere le imprese italiane, resta tutto da vedere.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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