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Banche: novità in vista da Bce e Ue?

Giornata nervosa per i mercati finanziari europei che attendono novità per il settore bancario da parte della Bce o della Ue. Per evitare un aggravarsi dei problemi servono misure straordinarie e un rilancio della crescita.
A cura di Luca Spoldi
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Banche, novità in arrivo? Per le banche europee qualcosa è nell’aria: mentre le banche spagnole sono percepite come sempre più a rischio, il mercato si attende a brevissimo un annuncio da parte della Bce o della Commissione Ue riguardo alla liquidità fornita o da fornire al sistema creditizio del vecchio continente e alla necessità di spostare definitivamente il focus dell’azione politica dall’austerity alla crescita. In una giornata purtroppo dominata in Italia dalle notizie che giungevano da un’Emilia Romagna nuovamente martoriata da uno sciame sismico che ha causato altre vittime che si sommano a quelle di una settimana fa e creato circa 8 mila sfollati, portando il governo a preannunciare per domani il varo di un provvedimento d’urgenza, l’attenzione degli investitori di tutto il mondo è rimasta concentrata su Madrid e Bruxelles. In particolare il governo di Madrid, smentendo la necessità di aiuti europei, ha annunciato stamane che oltre ai 19 miliardi di euro necessari al salvataggio di Bankia occorrerà reperire altri 30 miliardi per tre ex casse di risparmio nazionalizzate (Novagalizia, Banco de Valencia e Catalunya Caixa).

A Madrid servono almeno 50 miliardi. Su come riuscirà a reperire tali soldi il premier Mariano Rajoy non si è sbilanciato, ma molti pensano che in parte farà ricorso a nuove emissioni di titoli di debito (che gode di un debito/Pil relativamente basso, ma con tassi già a livelli di guardia non intende certamente ripercorrere strade che hanno portato a una situazione di dissesto o semi-dissesto paesi come la Grecia o l’Italia), dall’altra dismettendo quanto resta di aziende e partecipazioni pubbliche come Renfe (le ferrovie spagnole), Aena (ente che gestisce gli aeroporti) e Lae (lotterie), piuttosto che alcune partecipazioni come il 12% di IAG, compagnia nata dalla fusione di Iberia con British Airways, dalle quali secondo i primi calcoli si potrebbero ricavare circa 30 miliardi. Il problema è che al momento tutte le maggiori banche europee sono impegnate a vendere asset a rischio (come stanno facendo o hanno già fatto le spagnole Banco Santander e Bbva, piuttosto che le italiane UniCredit, Intesa Sanpaolo e Mps), ridefinire la valutazione degli asset medesimi (come nel caso di Ubi Banca e Banco Popolare, criticate duramente da Moody’s per aver preferito una soluzione “contabile” per quanto in linea con quello che hanno già fatto i concorrenti europei, all’iniezione di capitali freschi) o a ridefinire i propri piani industriali, ad esempio con nuovi tagli del personale e cessione o chiusura di centinaia se non migliaia di sportelli (Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha alzato da 500 a mille il numero di filiali che intende dismettere o chiudere in Italia, il Montepaschi sta cercando di collocare una metà degli sportelli di Antonveneta, Barclays Italia sembra intenzionata a cedere o ristrutturare la propria rete fatta di quasi 200 filiali). Il rischio di una certa “congestione” delle operazioni di dismissione è concreto, specie se i venditori non accetteranno di vendere “al meglio” (ossia al peggio) i propri beni e se i potenziali acquirenti non intenderanno a loro volta concedere valutazioni particolarmente generose.

 Il problema non è solo spagnolo. Che il tema delle ricapitalizzazioni bancarie (come dimensioni e come tempi, nonché come modalità) resti centrale in questo momento è indubbio, ma non si tratta di un problema che riguarda solo le banche del Sud Europa, quanto gli istituti francesi e tedeschi, pesantemente esposti nei confronti dei PIIGS. Proprio oggi, ad esempio, il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zaitung ha segnalato come a fine marzo le banche tedesche avessero un’esposizione complessiva, nei confronti della Spagna, di 112 miliardi di euro, seconda solo a quella nei confronti della Francia (146 miliardi) e dell’Olanda (121 miliardi), ma superiore ai 100 miliardi di esposizione verso l’Italia, ai 71 miliardi verso l’Irlanda e ai 22 miliardi a testa verso Grecia e Portogallo. Tra gli istituti tedeschi la più direttamente esposta verso la Spagna era Deutsche Bank (con 29 miliardi di prestiti concessi, di cui 11,4 miliardi alla sola clientela privata), mentre Commerzbank dopo aver già svalutato prestiti per 14,4 miliardi risultava avere ancora 4 miliardi “a rischio”, rappresentati da finanziamenti al settore immobiliare e a enti pubblici erogati da Eurohypo.

Come finirà? Secondo molti per questo motivo nei prossimi giorni se non nelle prossime ore, e comunque prima delle prossime elezioni in Grecia del 17 giugno, la Bce (che da mesi non acquista più titoli di stato e che sembrava intenzionata ad aspettare fino a luglio prima di eventualmente limare i tassi e forse fino a dopo l’estate per varare un’eventuale terza Ltro) potrebbe rompere gli indugi e annunciare nuove misure a sostegno del credito. Un sostegno che in qualche modo questa volta dovrebbe essere maggiormente legato al credito alle imprese, così da cercare di stimolare una ripresa che ormai è un ricordo in buona parte dell’Europa a causa della ritirata degli investitori esteri e della debolezza della domanda interna indotta dall’austerity “alla tedesca”. Il problema anche in questo caso è che in presenza di una ripresa mondiale che mostra qualche segnale di rallentamento, ad esempio in Cina, e di indici di fiducia delle imprese e dei consumatori in calo ovunque, per far ripartire la domanda, anche di credito, potrebbe occorrere più tempo del previsto. Occorreva muoversi prima per sperare di limitare i danni, ma certo sarà sempre meglio che non muoversi del tutto. Sempre che poi veramente si riesca a trovare quell’equilibrio tra l’azione delle autorità monetarie, che finora hanno fatto guadagnare tempo a banche e governi europei, e quelle politiche, apparse sistematicamente in ritardo e non ancora coscienti della portata sistemica che da mesi la crisi andava assumendo, o forse, nel caso tedesco, essendone fin troppo consapevoli ma trovando la situazione vantaggiosa dal proprio punto di vista, che non necessariamente è il migliore né in assoluto né per l’Europa e l’euro (il cui calo, va sottolineato, non è una iattura nella misura in cui consente almeno di tenere aperta la valvola delle esportazioni, ma che difficilmente sarà tollerato ancora a lungo da altri stati come il Giappone, gli Stati Uniti e i paesi emergenti tutti).

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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