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Banche europee, si profilano vincoli patrimoniali ancora più forti

Non sono ancora stati resi noti i risultati degli stress test dell’Eba che l’autorità bancaria europea ha già iniziato a mettere le mani avanti, calcolando in almeno 470 miliardi di euro la necessità di rifinanziamento delle banche europee nei prossimi anni. Banca Carige e Mps restano sotto i riflettori: supereranno l’esame o dovranno varare aumenti?
A cura di Luca Spoldi
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Gli stress test dell’Eba non sono ancora terminati (i risultati saranno resi noti il 29 luglio), ma per le banche europee già si profilano nuovi stringenti impegni. Secondo un primo studio diffuso oggi dalla stessa European Banking Authority (Eba), per adeguarsi alle nuove regole europee sui requisiti minimi di solvibilità (Mrel) le banche europee potrebbero doversi rifinanziare nei prossimi anni per un ammontare di 470 miliardi di euro, che salirebbe a 790 miliardi se il debito “unsecured” (ossia le ormai famigerate obbligazioni “junior”) venissero escluse dal calcolo delle fonti.

Il tema si intreccia a doppio filo a quello delle norme sul bail-in, che valgono per istituti non più solvibili e che giusto ieri una sentenza della Corte di Giustizia Ue ha dichiarato essere valide anche nel caso delle banche slovene, peraltro aggiungendo che rimane aperta la possibilità di deroghe da valutare caso per caso specialmente in circostanze eccezionali. Anche se, come ha dichiarato Andrea Enria, numero uno dell’Eba, la situazione sta migliorando, visto che le banche europee hanno raggiunto livelli di capitale Cet 1 (core equity tier 1, il capitale di migliore qualità) in media pari al 13,4% dell’attivo patrimoniale, mentre per le maggiori banche di ciascun paese ci si va orientando verso un requisito minimo pari all’8%, alcuni istituti non sono apparsi molto soddisfatti, anzi.

In Italia oltre a Mps, attorno a cui continuano a rincorrersi le voci più disparate (oggi si era diffusa l’indiscrezione di una possibile cessione di Antonveneta a Ubi Banca, che però ha subito fatto sapere di non aver alcun interesse al riguardo), tiene banco la situazione di Banca Carige, i cui vertici avrebbero già contestato i metodi applicati dall’Eba per gli stress test e i risultati che ne deriverebbero. Un campanello d’allarme che potrebbe significare che (anche) l’istituto ligure non è certo di superare il test.

Banca Carige avrebbe suggerito alcune correzioni che, se accolte, avrebbero portato ad esiti completamente differenti rispetto a quelli derivanti dall’applicazione dei metodi in base ai quali sono eseguiti gli stress test (che si basano sui risultati 2015, ndr), ignorando la specifica situazione di ciascun istituto e richiedendo una omologazione “rigida” a standard prefissati, senza neppure prendere in considerazione le azioni intraprese dagli istituti nel primo semestre del 2016 per migliorare la propria condizione patrimoniale.

Questo punto non è indifferente, visto che Carige ha varato un piano di cessione di crediti deteriorati del valore di 1,8 miliardi nei prossimi anni, di cui circa la metà entro la fine dell’anno e la parte rimanente nella seconda metà del 2017, mentre Mps starebbe cercando di venire incontro alle richieste già giunte dalla Bce studiando con Jp Morgan come cedere (si dice proprio entro il 29 luglio) circa 26,6 miliardi di Npl lordi, che verrebbero comprati per un valore tra il 20% e il 30% da una Newco che a tal fine si vedrebbe garantire un finanziamento ponte tra i 5,5 e i 7 miliardi dalla  stessa Jp Morgan, per poi procedere alla cartolarizzazione dei crediti deteriorati emettendo 7 miliardi di euro di tranche senior, garantite dalle Gacs più una tranche junior in cui finirebbero le posizioni a maggior rischio.

Quest’ultima tranche verrebbe sottoscritta integralmente dal fondo Atlante, che ha ancora 1,25 miliardi a disposizione per acquistare Npl, o da un nuovo fondo (Atlante 2 o Giasone che dir si voglia); e il prezzo medio fosse vicino al 20% del nominale Mps contabilizzerebbe una minusvalenza di circa 3 miliardi e avrebbe necessità di un aumento di capitale di pari importo per centrare a un coefficiente patrimoniale attorno al 12% che potrebbe essere il minimo ritenuto adeguato dalla Bce, viceversa una valorizzazione prossima al 30% ridurrebbe perdite e necessità di aumento del capitale a meno di 1,8 miliardi.

Le obiezioni di Carige non si sarebbero fermate a questo punto, bensì avrebbero riguardato la revisione del requisito di capitale Cet1, gravato da un “add-on” del 4,25% sempre a causa della presenza in bilancio di crediti deteriorati. Il rischio non è tanto che gli stress test Eba si traducano in una bocciatura di alcuni istituti di credito (non è infatti previsto alcun giudizio di questo tipo), ma che i risultati possano influenzare in modo determinante la “guidance” di capitale che la Bce emetterà alla fine della Srep 2016.

Per Mps la strada verso una ricapitalizzazione sembra ormai segnata, per Banca Carige per ora non è ancora così e i vertici stanno facendo di tutto per evitarlo. Quello che pare evidente, alla luce del continuo innalzamento dei vincoli patrimoniali, è che né Mario Draghi, né alcuna altra istituzione europea, né tanto meno gli stati membri più “robusti” sembrano intenzionati ad accettare l’idea di una unione bancaria in cui si possa procedere ad una “mutualizzazione” delle debolezze altrui, che siano debiti pubblici o crediti problematici privati. Prima di avere una vera “Europa unita” ognuno dovrà fare i compiti a casa: alle banche italiane e ai loro azionisti e obbligazionisti potrà non piacere molto, ma così è.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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