Dice un saggio proverbio di borsa: “sell in May and go away” (vendi a maggio e vattene) e dall’aria che tira in questi giorni almeno per Piazza Affari quest’anno potrebbe non essere una cattiva idea anticiparsi anche di un mesetto, tanto più se l’elezione del capo dello stato (che prenderà il via dal prossimo 18 aprile) non dovesse in alcun modo rasserenare lo scenario politico e le tre minoranze “maggioritarie” in Parlamento (Pd, M5S e Pdl, in ordine di voti complessivi) fossero tentate dall’andare avanti per la propria strada, ciascuna pensando agli interessi tuoi prima che a quelli del paese. Si prenda la giornata di oggi: era iniziata bene, con un rimbalzo superiore al punto percentuale legato a nuove misure anti depressive annunciate dalla Bank of Japan (che tornerà ad acquistare sino a 50 miliardi di yen l’anno di titoli di stato) ed è finita sottotono con gli indici in rosso di poco meno di mezzo punto. In mezzo, nonostante una discreta asta di titoli di stato spagnoli che aveva fatto bene anche ai Btp italiani (il decennale guida ha visto il rendimento calare fino al 4,51% prima di chiudere al 4,56%, comunque meglio di ieri quando aveva chiuso sul 4,59%, lo spread Btp-Bund è tuttavia risalito al 3,32% dal 3,30% della vigilia), ci sono state le riunioni della Bank of England e della Banca centrale europea, che hanno lasciato immutati i tassi su sterlina (0,5%) ed euro (0,75%).
A preoccupare i mercati non sono tuttavia i tassi, quanto la prospettiva di un prolungarsi della crisi che, in queste settimane, torna a vedere un rallentamento ciclico già ben rappresentato dagli indicatori macroeconomici più veloci e che, secondo le parole di Mario Draghi, potrebbe comportare ulteriori rischi al ribasso rispetto alle attese di graduale ripresa economica per il secondo semestre nel vecchio continente. Rischi che, sempre secondo Draghi, dovrebbero indurre i governi ad accelerare gli sforzi sul fronte delle riforme strutturali e degli stimoli all’economia in parallelo al rimborso del debito pregresso e le autorità Ue a rendere rapidamente operativo sia il meccanismo di sorveglianza europea sulle banche, sia la possibilità di ristrutturarle e gestirne i fallimenti a livello comunitario. Un accenno, ripreso anche dalle dichiarazioni di altri esponenti di Eurotower, che avrà fatto venire i brividi lungo la schiena a più di un banchiere, anche in Italia, dove del resto la depressione della domanda domestica sta continuando a pesare sia sui conti delle aziende più esposte al mercato italiano, sia su quelli delle stesse banche (che vedono ancora crescere le sofferenze, sia pure a ritmo ridotto rispetto a pochi mesi fa, mentre procedono a svalutare crediti sempre meno esigibili tentando di distribuire sia pur modesti dividendi alle proprie fondazioni socie, ormai a corto di denaro per la propria “missione” di erogatori di risorse sul territorio).
Se le banche debbono poter fallire (a patto di riuscire a gestirne i fallimenti su un piano comunitario, perché a livello nazionale i fondi di garanzia dei depositi sotto i 100 mila euro sono alimentati dai versamenti delle stesse banche e in caso di crisi di uno o più istituti sistemici rischierebbero di rivelarsi non capienti, col che il “bail in”, ossia la tosatura di conti e depositi, finirebbe o col gravare sulle tasche dei contribuenti tutti o di incidere anche sulla “sicurezza” dei depositi sotto la soglia dei 100 mila euro), la stessa cosa deve valere per le assicurazioni? E in questo caso chi rischia di più? La questione è spinosa perché a differenza che per le banche (esposte principalmente al rischio sovrano a causa della presenza di titoli di stato nei propri portafogli e al rischio creditizio per l’aumento dei casi di insolvenza della propria clientela, sia aziendale sia privata) le assicurazioni soffrono anche della politica di bassi tassi pervicacemente mantenuta (per evitare il definitivo stallo dei mercati del credito) dalle banche centrali. E mentre le banche cercano di rafforzare il patrimonio riducendo il credito (non essendo agevole dismettere sul mercato gli asset a rischio né essendo in vista alcuna ripresa che possa comportare significativi aumenti dei volumi di attività), le assicurazioni di solito provano a scaricare parte del costo sugli assicurati.
In questo senso noto che non è passato un mese da quanto i vertici di Sara Assicurazioni avevano dichiarato di prevedere per l’anno in corso un calo dei propri premi medi sulle polizze Rc Auto del 3,5% (dopo che il 2012 si è chiuso con una prima limatina dell’1%) che si scopre come il governo Monti sarebbe intenzionato (salvo ennesimo dietrofront all’ultimo minuto) a varare un Dpr (Decreto del presidente della Repubblica) col quale verrebbero dimezzati (secondo una bozza citata da Il Fatto Quotidiano) i risarcimenti previsti dalla polizze Rc Auto per i danni alla persona compresi tra 10 e 100 punti di invalidità, quelli più gravi. Una fretta un po’ sospetta visto che il governo Monti è in carica solo per la gestione degli “affari ordinari” e il presidente Giorgio Napolitano sta per uscire di scena, che secondo i cronisti de Il Fatto potrebbe essere legata alla recente pubblicazione da parte del Tribunale di Milano di nuove tabelle per i risarcimenti, rivalutate sulla base dell’inflazione. Tabelle cui in un primo momento (lo scorso ottobre) sembravano potersi collegare i risarcimenti da varare col Dpr in ossequio ad una sentenza della Corte di Cassazione del giugno 2012.
Insomma: se le banche rischiano di fallire a pagare potremmo essere tutti noi, se l’Europa non ci mette la pezza, mentre le assicurazioni per evitare il rischio di fallire (un rischio decisamente teorico visto gli utili fatti dalle principali compagnie anche in questi ultimi anni) stanno tentando, con un’azione di lobbying neppure troppo velata, di scaricare in anticipo i costi sulla collettività riducendo i risarcimenti massimi da pagare a fronte di qualche piccola limatina ai premi richiesti alla clientela. Il che per un settore a “ciclo invertito”, ossia che prima incassa somme certe dai suoi clienti, poi eventualmente fornisce loro, negli anni, il servizio pagato (ossia eroga il rimborso nel caso si manifesti l’evento contro cui ci si è assicurati) è forse un modo di agire normale. Meno normale che la classe politica italiana non riesca, tanto per cambiare, a svolgere la sua funzione di stanza di compensazione tra le contrastanti istanze provenienti dalla “società civile” (assicurazioni comprese, come pure è legittimo).