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Banche contro assicurazioni: vita tua, mors mea

I bassi tassi d’interesse fanno bene alle banche e agli emittenti sovrani, ma rischiano di rendere poco redditizi gli investimenti delle assicurazioni e di non garantire un ritorno sufficiente alle pensioni integrative private.
A cura di Luca Spoldi
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Vita tua mors mea, verrebbe da dire commentando le notizie che rimbalzano sui principali quotidiani e siti finanziari europei che vogliono le autorità Ue sotto pressione da parte della lobby delle assicurazioni, nel tentativo di far slittare o almeno addolcire le norme sulla valutazione degli asset a rischio e sull’ammontare di riserve tecniche che ogni compagnia deve accumulare, norme che sotto il nome di accordi di Solvency II dovrebbero entrare in vigore dal primo gennaio 2014.

Solvency II se applicata ora richiederebbe un incremento secco attorno al 20% del buffer di capitale utilizzato come “riserva” per proteggersi dai rischi legati agli investimenti in essere da parte delle compagnie assicurative, le quali solitamente investono in immobili e in titoli di stato la gran parte del capitale versato loro dagli assicurati sotto forma di premi. Ora il problema è che sia il mercato immobiliare sia quello obbligazionario sono fortemente in crisi, e dunque sono a rischio, ma al tempo stesso i tassi, tenuti dalle banche centrali il più bassi possibile per cercare di garantire la sopravvivenza del mercato del credito (ossia delle banche, nei cui bilanci “dormono” centinaia di miliardi di titoli di stato), sono troppo modesti per garantire un’adeguata remunerazione a lungo termine dei capitali degli assicurati.

Per questo sta facendosi strada l’ipotesi (già presa in considerazione da vari istituti di credito del resto, come per esempio le italiane Mps, Banco Popolare e Ubi Banca, che da poco hanno avuto il via libera da Banca d’Italia) di utilizzare nuovi metodi per il calcolo dei requisiti di capitale. Secondo una ricerca di Deloitte, anzi, il 51% delle assicurazioni intervistate ha modificato il proprio approccio al calcolo di tali requisiti e, di queste, il 60% ha introdotto metodi di calcolo “più sofisticati”. Inoltre il 37% di chi sta cambiando il proprio approccio ha dichiarato di essere passato da modelli parzialmente sviluppati all’interno a modelli interamente sviluppati all’interno (ed il 23% si è allontanato dall’approccio basato su formule standard).

E ancora: il 40% di chi sta cambiando strada afferma di aver scelto un approccio “più semplice” ma in grado di offrire una fotografia “più precisa” dei rischi, così da ridurre i requisiti di capitale. In questo modo le assicurazioni cercano di mantenere un minimo di redditività anche in un periodo di ritorni molto modesti, in attesa che le condizioni di mercato mutino e consentano da un lato un “repricing” (come sta avvenendo per le banche), ossia di far pagare di più alla propria clientela i propri servizi, dall’altra di ottenere maggiori interessi dall’impiego di capitali in asset immobiliari o obbligazionari (possibilmente a fronte di un rischio percepito inferiore a quello attuale, su cui impatta negativamente la crisi del debito sovrano europeo).

Diversamente il rischio è che prodotti assicurativi e finanziari come i fondi pensione e le polizze Vita non riescano a garantire un ritorno sul capitale sufficiente a tutelare il benessere degli assicurati, che andrebbero incontro a un futuro fatto di pensioni pubbliche sempre più ridotte e pensioni private non in grado di garantire il mantenimento del loro tenore di vita. Per venire incontro alle assicurazioni la Ue potrebbe concedere, entro i primi di luglio, uno slittamento di 6-7 anni dell’entrata in vigore delle regole (che penalizzerebbero in particolare gli assicuratori tedeschi e britannici, tanto che il ministro della previdenza inglese, Steve Webb, ha ribadito di essere contrario a ogni compromesso che estenda le nuove norme agli assicuratori britannici, pena effetti “catastrofici”).

In alternativa le nuove regole potrebbero valere solo sui nuovi contratti e non su quelli in essere (in particolare sui contratti finanziari e del ramo Vita, le cui risever sono valutate applicando un tasso di sconto che fa riferimento al tasso “free risk” di mercato e che quindi tanto più è basso tanto meno sconta, ossia riduce, i requisiti di capitale). Insomma: ciò che può essere vitale per una parte del settore finanziario (le banche) rischia di essere mortifero per un’altra (le assicurazioni).

In mezzo i clienti rischiano di vedersi applicare rincari che garantiscano la salvezza di imprese che dovrebbero essere in grado di offrire loro servizi competitivi ma che forse hanno assunto negli anni rischi eccessivi anche per remunerare, oltre ai propri azionisti, i propri assicurati (e clienti in genere). Come un cane che si morde la coda la crisi rischia dunque di avvitarsi e prendere tempo può, ancora un volta, costituire solo una soluzione temporanea in attesa di riuscire a sbrogliare la matassa, cosa per cui sarebbe necessaria, come sempre, una crescita economica che si stenta ormai a capire come possa essere ritrovata visto che, semmai, gli ultimi dati macroeconomici indicano che anche Cina, paesi emergenti, Giappone e Stati Uniti stanno nuovamente rallentando il passo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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