Giornali e televisioni continuano a parlarci delle banche, delle loro sofferenze, dell’avvicendarsi di manager e personaggi politici ai loro vertici (a proposito: in casa Unicredit c’è maretta ai piani alti, con l’amministratore delegato Jean-Pierre Mustier che vorrebbe far accomodare ai giardinetti la “vecchia guardia” rappresentata dai vari Fabrizio Palonzona, Luca Cordero di Montezemolo e Giuseppe Vita, che invece tenta di resistere almeno un altro anno), ma raramente si soffermano su qualche “incidente di percorso” come quello toccato a tre tra le maggiori banche italiane: lo stesso Unicredit, Intesa Sanpaolo e Bnl, su cui l’Antitrust ha da poco deciso di accendere un faro per “presunte pratiche commerciali scorrette”.
Le tre istruttoria aperte dall’Antitrust italiano serviranno, come ha precisato una nota dell’authority, “ad accertare se le tre banche abbiano posto in essere condotte in violazione del Codice del consumo in relazione alla pratica dell’anatocismo bancario”. Di cosa si tratta? In sostanza della brutta abitudine di alcune banche (non solo in Italia) di far pagare interessi sugli interessi alla propria clientela, cosa contraria alla legge.
Nel caso specifico Bnl, Unicredit e Intesa Sanpaolo avrebbero continuato ad applicare l’anatocismo bancario fino all’entrata in vigore dell’art. 17-bis del d.l. n. 18/2016, che ha ribadito il divieto di anatocismo salvo autorizzazione preventiva del cliente, e questo sarebbe avvenuto nonostante l’espresso divieto già contenuto nella legge di stabilità 2014. Non solo: anche dopo l’ulteriore riforma del 2016 le tre banche avrebbero adottato modalità “aggressive” per indurre i propri clienti consumatori a concedere l’autorizzazione all’addebito.
Le banche, in sostanza, dopo aver concesso un prestito avrebbero capitalizzato (ossia calcolato) gli interessi considerando quelli maturati come capitale, finendo così col far pagare ai clienti anche gli interessi sugli interessi nonostante l’esplicito divieto del 2014, ribadito e reso “definitivo” (si fa per dire) nell’aprile dello scorso anno, quando nel “decreto banche” che varò la riforma del credito popolare e le garanzie dello stato sulle sofferenze bancarie venne inserito e pertanto ribadito il divieto al pagamento degli interessi sugli interessi (il meccanismo dell’anatocismo, appunto), compreso il caso dei finanziamenti a valere su carte di credito, oltre ai normali prestiti e mutui.
Per la legge nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento gli interessi vanno conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno o comunque al termine del rapporto per cui sono dovuti; gli interessi debitori divengono inoltre esigibili il primo marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati. Ma a inizio anno qualcosa è successo: come riferito dall’Adusbef, una “primaria banca” (di cui per pudore non venne fatto il nome) avrebbe inviato una mail alle imprese clienti, preannunciando che dal primo marzo 2017 sarebbero stati addebitati “gli interessi debitori relativi al trimestre 1 ottobre – 31 dicembre 2016” il cui importo sarebbe stato rilevabile dagli estratti conto inviati a fine anno “contraddistinti dalla voce interessi con due asterischi”.
Chi non avesse autorizzato l’addebito degli interessi avrebbe visto applicato “gli interessi di mora” e avrebbe potuto incorrere nel “recupero legale degli stessi” oltre che nella “sospensione/revoca degli affidamenti/ blocco del conto corrente”. L’Adusbef a questo punto fa scattare l’allarme: in base al calcolo sul volume medio degli impieghi affidati, tra il 1 gennaio 2014 e il 30 settembre 2016, l’anatocismo ai danno delle imprese e di altri soggetti economici che hanno ottenuto dalle banche prestiti, fidi o scoperture di conto corrente avrebbe portato tra 6,7 e 7,8 miliardi di euro indebitamente incamerati dal sistema bancario.
Capitali che, ricorda l’Adusbef, non dovevano essere percepiti e che in virtù sia delle leggi sia di varie pronunce dei Tribunali nelle inibitorie andranno restituiti. La Banca d’Italia sembra non voler intervenire, così a inizio marzo l’Adusbef presenta un esposto-denuncia a 15 Procure italiane contro le banche e contro Banca d’Italia. A questo punto l’Antitrust si sveglia e fa quello che spetterebbe a Via Nazionale, aprendo tre istruttorie effettuando ispezioni nelle sedi di Bnl, Unicredit e Intesa Sanpaolo con l’ausilio del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza.
L’imbarazzo è massimo, ma per fortuna delle banche italiane stampa e televisioni danno il minimo risalto alla notizia, che certo cade, come di regola in questi casi, in un momento “delicato” in cui le banche avrebbero bisogno di capitali più che di scandali. Eppure è proprio guadagnandosi la fiducia del mercato e della clientela che tali capitali potrebbero essere più facilmente reperiti, anziché con l’addossamento di ulteriori costi non dovuti, anche se le banche italiane non sembrano pensarla proprio allo stesso modo.