Dimmi a chi e come vendi i tuoi crediti deteriorati (Npl) e ti dirò che azionisti ti ritroverai in un prossimo futuro. Mentre l’avvicinarsi della scadenza del 4 dicembre rende i mercati finanziari italiani sempre più volatili, il tema principale di cui si parla a Piazza Affari e dintorni resta sempre e solo uno: come e quanti Npl finiranno sul mercato, chi li comprerà e a che prezzo.
Veloce riassunto delle puntate precedenti per chi se lo fosse perso: l’ultimo rapporto mensile dell’Abi (Associazione bancaria italiana) parla di 85,1 miliardi di euro di sofferenze nette nei bilanci bancari a fine settembre, 300 milioni meno del mese precedente e quasi 4 miliardi meno di un anno fa, con un rapporto sofferenze nette/totale prestiti sceso lentamente al 4,79% (dal 4,81% di agosto e contro il 4,94% di fine 2015), ancora distante anni luce dai livelli pre-crisi (0,86%), a fronte di prestiti totali a imprese e famiglie (sui quali il tasso medio d’interesse è calato al nuovo minimo storico del 2,94%) per 1.804,3 miliardi e depositi da clientela per 1.661,7 miliardi.
La Bce cerca di accelerare per quanto possibile l’operazione di “pulizia di bilancio” delle maggiori banche italiane, a partire da Mps, la cui assemblea ha oggi approvato la riduzione per perdite del capitale da 9 a 7,365 miliardi circa e il raggruppamento titoli in ragione di 1 nuova azione ogni 100 esistenti, a partire da lunedì prossimo, attribuendo al Cda la delega per lanciare subito dopo il referendum costituzionale l’aumento di massimi 5 miliardi di euro (che sarà ridotto di circa 1 miliardo dalla conversione volontaria di bond subordinati in azioni e forse di altri 1-1,5 miliardi dall'intervento di “anchor investor” internazionali).
La ricapitalizzazione è come noto necessaria ad evitare la risoluzione della banca (che ha fatto sapere come in caso di “bail in” sarebbero 13 miliardi le obbligazioni potenzialmente convertibili in modo forzoso), che in parallelo dovrebbe procedere a cartolarizzare 27,7 miliardi di sofferenze per un controvalore nominale di 8,947 miliardi (rispetto ai 9,102 miliardi inizialmente previsti) di cui 1,526 miliardi relativi alla tranche “junior mezzanine” saranno sottoscritti dal fondo Atlante, che intanto ha confermato l'impegno a rilevare i 2,5 mliardi circa di Npl che saranno ceduti dalle “good bank” e dovrà nei prossimi mesi occuparsi anche dei 3 miliardi di Npl che dovranno collocare Bpvi e Veneto Banca.
Delle altre tranche, lo stesso Mps ha la possibilità di sottoscrivere il 5% del valore nominale delle senior notes (4,65 miliardi di euro nominali), della stessa tranche junior mezzanine e delle junior notes (1,6 miliardi da assegnare gratuitamente agli azionisti della banca, il cui fair value non dovrebbe superare i 430 milioni circa), oltre al 100% del valore nominale della tranche senior mezzanine (1,171 milliardi) come previsto dagli accordi con Quaestio Sgr (società di gestione del fondo Atlante) che da parte sua acquisterà anche un portafoglio di crediti in leasing assistiti da beni immobili e/o strumentali per un controvalore complessivo di 249 milioni.
Oltre a Mps stanno per perfezionare le proprie cartolarizzazioni Banca Carige e Unicredit. L’istituto ligure secondo le ultime indiscrezioni dovrebbe affidarsi a Banca Imi e Prelios per collocare un portafoglio di Npl da 1,4 miliardi di euro nominali. L’amministratore delegato Guido Bastianini sta peraltro trattando ancora con la Bce sia l’ammontare complessivo degli Npl da cedere, che la Bce per ora ha fissato in 3,4 miliardi (così da far scendere gli Npl entro il 2019 a 3,7 miliardi, dai 7,1 miliardi di fine settembre), contro gli 1,8 miliardi, in due tranche da 900 milioni l’una, messe in preventivo dalla banca.
Se la Bce non ci ripenserà Carige dovrà alzare l’importo a 1,4-1,5 miliardi ed eventualmente collocare un’ultima tranche da 400-500 milioni; inoltre siccome la Bce vuole alzare la copertura dei rimanenti Npl, a quel punto quasi soltanto inadempienze probabili e scaduti (3,25 miliardi a fine settembre), al 42% (dal 30% attuale di questa tipologia di crediti deteriorati) Banca Carige dovrebbe lanciare un aumento di almeno 500 milioni di euro; per questo Bastianini sta pensando quanto meno di allargare lo spettro dei crediti inseriti nel pacchetto da cartolarizzare, così da mantenere un’esposizione residua bilanciata e sperare di incassare un prezzo più elevato dalla cessione.
Ultima ma più importante di tutte resta l’operazione che deve essere varata da Unicredit. La Bce vuole che Jean Pierre Mustier si liberi di 20 miliardi di Npl, per il 45% è formato da posizioni “secured” (ossia assistite da garanzia, dunque potenzialmente assistibili dalle Gacs pubbliche) e il 55% da “unsecured”. Il manager francese sembra intenzionato a procedere repidamente e stando al Messaggero avrebbe già ristretto la lista dei potenziali acquirenti a tre nomi: Fortress, data in pole position avendo già rilevato da Unicredit nell’ottobre dello scorso anno UniCredit Credit Management Bank (Uccmb), poi ribattezzata doBank (sotto cui dallo scorso luglio sono finite anche le attività di Italfondiario, già controllate all’85,75% dalla stessa Fortress), Pimco e Cerberus.
Il 13 dicembre Mustier presenterà il nuovo piano industriale della banca e a quel punto alzerà il velo sia sulla maxi-capitalizzazione, sia sul parallelo aumento di capitale, la cui cifra partita da una prima ipotesi di 5-8 miliardi è ormai lievitata a 13-15 miliardi. Visto l’incertezza del momento e le limitate disponibilità di molte fondazioni bancarie (a partire da Fondazione Mps, ormai allo 0,7% del capitale di Siena, che infatti ha rimandato a dopo il referendum la decisione se partecipare o meno alla ricapitalizzazione) è possibile che da qui a qualche mese tutte le banche coinvolte in queste pulizie di bilancio risultino molto più “snelle” e prive di soci “politici” sul ponte di comando.
A quel punto potrebbe scattare il gran valzer delle fusioni, magari pilotato da qualche banca d’affari americana in grado di far arrivare gli agognati anchor investor che per il momento si sono sì detti “interessati” a guardare le carte, ma non hanno avanzato offerte vincolanti per nessuna delle grandi e medie banche italiane coinvolte nelle grandi pulizie d’inverno, un affare da oltre 55 miliardi in grado di alterare profondamente i fragili equilibri della “foresta pietrificata” del credito italiano.