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Banca popolare di Vicenza, nuova perquisizione della Guardia di Finanza

Nuova ispezione della GdF presso la sede centrale di Banca popolare di Vicenza: la Procura di Vicenza indaga sulla pratica dei finanziamenti “baciati” concessi dall’istituto a fronte di acquisti di azioni proprie. Una pratica diffusa ma che rischia di causare gravi danni alle imprese che incappano in casi di mala gestione come quelli di BpVi…
A cura di Luca Spoldi
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Banca popolare di Vicenza resta al centro dell’attenzione non solo dei mercati, dopo il via libera dell’Antitrust italiano all’acquisizione del controllo esclusivo da parte di Quaestio Sgr per il tramite del fondo Atlante (azionista al 99,33% dopo aver dovuto sottoscrivere integralmente l’aumento da 1,5 miliardi di euro a inizio maggio), ma anche della magistratura. La Guardia di Finanza ha infatti eseguito stamane una perquisizione della sede centrale dell’istituto a Vicenza, sulla base di un provvedimento emesso dalla Procura della Repubblica vicentina che ha in corso un’inchiesta sulla (mala)gestione dell’istituto di credito in particolare nel periodo 2012-2014.

Obiettivo della perquisizione delle Fiamme Gialle, l’acquisizione di ulteriore documentazione riguardo a finanziamenti per 975 milioni di euro erogati complessivi dalla banca per consentire l’acquisto di proprie azioni. Tra i beneficiari dei finanziamenti, secondo quanto emerso dalle ispezioni della Bce, vi furono tra gli altri il gruppo che fa capo all’ex candidato sindaco a Roma, Alfio Marchini (che a fine 2014 risultava aver ottenuto 76,4 milioni di euro), i costruttori pugliesi Degennaro (27,75 milioni) e il gruppo barese dei fratelli Emanuele, Giovanni e Vito Fusillo (10,3 milioni).

Si noti che la pratica (molto diffusa tra le banche popolari) dei finanziamenti “baciati”, ossia accordati in parallelo a (o per consentire) l’acquisizione di azioni proprie in sé non è vietata dalla legge, ma deve rispettare i dettami dall’art. 2358 del Codice Civile: anzitutto gli amministratori devono redigere una relazione che descriva, sotto il profilo giuridico ed economico, le condizioni, le ragioni e gli obiettivi imprenditoriali che giustificano tale operazione, nonché lo specifico interesse che l’operazione presenta per la società (ossia la banca), i rischi che essa comporta per la liquidità e la solvibilità della banca.

Devono inoltre indicare il prezzo al quale il soggetto terzo a cui viene concesso il prestito acquisirà le azioni e attestare che l’operazione ha avuto luogo a condizioni di mercato, in particolare per quanto riguarda le garanzie prestate e il tasso di interesse praticato per il rimborso del finanziamento, e che il merito di credito della controparte è stato debitamente valutato. Tutte condizioni che, ovviamente, la magistratura potrà e dovrà valutare. In ogni caso, precisa sempre l’art. 2358, “l’importo complessivo delle somme impiegate e delle garanzie fornite ai sensi del presente articolo non può eccedere il limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, tenuto conto anche dell’eventuale acquisto di proprie azioni”.

La Procura di Vicenza sospetta da tempo che la banca (che ha già offerto la propria “piena e serena collaborazione”) abbia finanziato una parte consistente del suo stesso capitale azionario, superando i limiti consentiti. Per parte sua la Banca d’Italia, a suo tempo chiamata in causa, ebbe modo di ricordare alla Commissione d’inchiesta del Consiglio Regionale del Veneto che nel caso di banche popolari non quotate (come BpVi ma e Veneto Banca, al cui aumento di capitale sembrerebbe aver aderito finora meno dell’1% dei soci esistenti, cosa che renderà inevitabile anche in questo caso l’intervento del fondo Atlante), anche i finanziamenti eventualmente accordati da una banca a un cliente in coincidenza con l’acquisto da parte di quest’ultimo di azioni della banca stessa sono regolati dal già ricordato art. 2358.

A fini prudenziali, tuttavia, la normativa di settore, faceva notare Banca d’Italia, prevede che le azioni acquistate grazie a un finanziamento della banca emittente non possono essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza, considerato come il primo “cuscinetto” di sicurezza in grado di assorbire eventuali perdite. Ora, Bvpi chiuse il 2014 con 823,7 milioni di euro di perdita netta, dopo rettifiche di valore per oltre 1,53 miliardi di euro, imposta dopo che dall’attività ispettiva di Banca d’Italia e Bce erano emerse anomalie (anomalie rilevate anche per Veneto Banca a partire dal 2013), dunque tale cuscinetto era già stato ampiamente sforato per colpa della precedente gestione dell’istituto.

La perquisizione odierna mirava come detto ad acquisire eventuali ulteriori documenti rispetto a quelli già emersi al termine della prima perquisizione che ha già portato all’iscrizione nel registro degli indagati di sei ex top manager di BpVi: l’ex presidente Giovanni Zonin (patron dell’omonimo gruppo vinicolo), l’ex direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta e i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena. Si vedrà a breve se la loro posizione si complicherà ulteriormente dopo la giornata odierna.

Nel frattempo una recente ordinanza del giudice di Venezia Anna Maria Marra ha considerato nulli i finanziamenti “baciati”, vietando a BpVi di pretendere il rientro delle somme prestate che nel frattempo, visto il pressoché totale azzeramento del valore dei titoli azionari utilizzati come garanzia dei finanziamenti stessi, sono diventate Npl (non performing loan, crediti deteriorati). La situazione appare complessa e accanto a grandi gruppi che hanno ottenute somme importanti vi sarebbero centinaia di piccoli imprenditori che non potendo rivendere i titoli e rimborsando il debito si sono trovati quasi dal giorno alla notte segnalati alla Centrale Rischi, cosa che a sua volta ha fatto partire richieste di rientro anche da parte di altre banche finanziatrici.

Gli imprenditori e le loro società rischiano ora di finire in default, non potendo di colpo rimborsare non solo le operazioni “baciata” con BpVi (o Veneto Banca), ma tutti i finanziamenti ricevuti dal settore bancario. Così i ricorsi continuano a fioccare non solo per sospendere le richieste di rimborso da parte di BpVi, ma anche per cancellare l’iscrizione alla Centrale Rischi ed evitare l’effetto domino di cui sopra. A prescindere da come finirà la vicenda il danno reputazionale creato da casi di mala gestione come quello di BpVi è destinato comunque a ripercuotersi sulla vita delle imprese coinvolte.

Mirabile esempio di come fare le cose “a carte coperte”, concedendo finanziamenti a chi si impegna a sottoscrivere azioni (e di certo a non votare nulla che non sia gradito agli amministratori), sia un vizietto pericoloso che garantisce solo i manager-azionisti e qualche “cliente amico” delle Bcc, non certo i piccoli soci o la clientela “ordinaria” nell'ipotesi, oggi più frequente di pochi anni or sono, in cui l'istituto finisca in difficoltà.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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