Per la “vecchia” Banca popolare dell’Etruria e del Lazio scatta l’ora della dichiarazione di insolvenza, che prelude con ogni probabilità ad un’inchiesta per bancarotta fraudolenta che riaprirebbe uno spiraglio per ottenere un rimborso delle perdite subite da obbligazionisti e azionisti, anche se al momento è difficile se non impossibile prevedere quanto consistente potrebbe essere. Ma andiamo con ordine.
Il Tribunale fallimentare di Arezzo presieduto da Clelia Galantino che, con una sentenza di 15 pagine, ha rigettato anche le eccezioni di costituzionalità sul decreto “salva banche” sollevate dalla difesa dell’ultimo presidente Lorenzo Rosi (che ha già annunciato di voler ricorrere in Appello). In Banca Etruria, dunque, esisteva uno stato di crisi “irreversibile” che aveva prodotto il “drammatico ed irreversibile dissolvimento dello stato patrimoniale dell’ente”, come del resto aveva sostenuto il liquidatore, Giuseppe Santoni, come pure il Procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi.
Toccherà ora a Rossi, su cui intanto il Csm ha chiesto ulteriori documenti alla Procura generale di Firenze, nell’ambito di un procedimento di valutazione delle inchieste condotte dallo stesso Rossi come Pm o come capo della Procura sull’ex vicepresidente di Banca Etruria, Pierluigi Boschi (padre del ministro Maria Elena Boschi), esaminare gli atti trasmessi dal Tribunale fallimentare per valutare se vi siano o meno profili tali da ipotizzare il reato di bancarotta fraudolenta che, nel caso, andrebbe ad aggiungersi a quelli già contestati in altre inchieste ad alcuni amministratori del “vecchio” istituto poi risolto insieme ad altri tre lo scorso dicembre.
Se così fosse la Procura di Arezzo aprirebbe il quinto fascicolo sulla passata gestione dell’istituto; a quel punto seguirebbe l’iscrizione nel registro degli indagati degli ex amministratori, tra cui i componenti dell’ultimo Cda di cui era presidente appunto Lorenzo Rosi. Tra i casi che potrebbero confluire nel nuovo fascicolo, dove si ritroverebbero nomi di ex amministratori comunque già finiti sotto inchiesta, vi sarebbero anche consulenze per 17 milioni, la liquidazione da 1,2 milioni toccata all’ex direttore Luca Bronchi, i premi ai dipendenti e soprattutto i crediti finiti poi in sofferenza per quasi 2 miliardi di euro.
I precedenti quattro filoni d’inchiesta hanno finora riguardato le ipotesi di: ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia (indagati l’ex presidente, ed ex deputato democristiano, Giuseppe Fornasari, lo stesso Bronchi e il direttore centrale David Canestri); false fatturazioni (indagati ancora Fornasari e Bronchi); conflitto di interessi (Lorenzo Rosi e l’ex consigliere Luciano Nataloni, commercialista fiorentino già consigliere o sindaco di numerose società pubbliche partecipate dal Comune di Firenze e da altri enti locali toscani); la truffa ai danni dei risparmiatori per le obbligazioni subordinate.
In previsione dell’apertura del nuovo fascicolo per il reato di bancarotta fraudolenta, il Codacons ha già annunciato di volersi costituire parte offesa nel procedimento, “a tutela degli investitori dell’istituto di credito” dei piccoli risparmiatori che “hanno visto azzerato il valore delle proprie obbligazioni a seguito del decreto salva banche”, cui l’associazione offrirà assistenza legale. Si profila dunque una possibile battaglia legale per il rimborso almeno di una parte delle perdite subite da obbligazionisti e azionisti del vecchio istituto.
Imposibile al momento dire quanto concreta sia tale prospettiva: sembra difficile infatti che si riescano a recuperare tutti i 185 milioni di euro che gli ex amministratori dell’istituto toscano si erano negli anni auto-concessi e hanno poi generato 198 posizioni di fido finite tra incagli e sofferenze. Chissà poi se qualcuno vorrà fare il “bel gesto” di restituire in tutto o in parte i 14 milioni di euro in “gettoni di presenza” distribuiti negli ultimi cinque anni prima del commissariamento, arrivato secondo molti fin troppo tardivamente visto che irregolarità e problemi erano già emersi al termine delle ispezioni di Banca d’Italia del 2010 e poi del 2013 e 2014.
Purtroppo anche Banca Etruria, come molti precedenti, la commistione tra politica locale e nazionale e interessi privati di alcuni singoli soci “di riferimento” ha finito col generare una gestione a dir poco infelice. Sarà ora la Procura a dover capire se oltre che infelice è stata anche una gestione truffaldina e se sarà possibile recuperare in qualche modo il danno fatto ad azionisti e obbligazionisti, magari anche valutando le responsabilità che dovessero emergere a carico dei tanti controllori troppo poco attenti, dai sindaci ai revisori dei conti, sino a Banca d’Italia.