Va bene, ci direte. Si usa così, nel mondo degli affari, e ognuno coi suoi soldi ci fa quel che gli pare. Però, scusateci, ma l’incentivo all’esodo che Atlantia ha deciso di corrispondere al suo amministratore delegato e direttore generale Giovanni Castellucci supera ogni soglia dell’inopportuno. Parliamo di 13 milioni di euro, della copertura totale delle spese legali, della copertura assicurativa D&O che tutela il patrimonio dei manager nel caso di richieste di risarcimento, della casa aziendale e dell’auto aziendale per i prossimi dodici mesi, di tutte le coperture assicurative sino a scadenza, e una quantità di stock option che, al prezzo attuale delle azioni, valgono circa 7 milioni di euro. Il tutto dopo averlo promosso a seguito del crollo, spostandolo dal vertice di Autostrade, la controllata, a quello di Atlantia, la controllante.
Sembra uno scherzo, ma non lo è. E non perché parliamo di un manager incapace, intendiamoci. Castellucci è l’uomo che, da amministratore delegato di Barilla, ha portato l’azienda parmigiana ad aumentare il fatturato del 9% e a diventare il principale principale produttore di pasta degli Stati Uniti d’America. E che, da direttore generale prima, e da amministratore delegato poi, ha fatto di Autostrade per l’Italia il principale concessionario d’Europa, e uno dei player autostradali più importanti al mondo, con circa 3000 chilometri di rete autostradale in Italia, oltre 2.000 km di autostrade a pedaggio in Brasile, Cile, India e Polonia, senza contare la gestione dell’hub aeroportuale di Roma Fiumicino. Giù il cappello, almeno fino a quindici mesi fa.
Non basta però, a giustificare la pioggia di denaro che gli è piovuta addosso. Ciò che rende tutto assurdo è che questo riconoscimento monstre per il supermanager marchigiano non è un premio, ma una buonuscita. Una buonuscita figlia del crollo del Ponte Morandi di Genova del 14 agosto del 2018, in cui hanno perso la vita 43 persone e ne ha lasciate 252 senza casa. 252 famiglie cui Autostrade per l’Italia, per ora, ha pagato soltanto 1,5 milioni di risarcimento, più o meno dagli 8 ai 12mila euro a nucleo, dei settantadue milioni di euro promessi. A Castellucci, anche solo prendendo per buoni i 13 milioni di buonuscita e i 72 milioni di risarcimenti complessivi, verrà pagato più o meno un quinto di tutti i risarcimenti spettanti alle 252 famiglie sfollati. Una sproporzione evidente. Tanto più pochi giorni dopo l’arresto di nove dirigenti, tecnici, ingegneri di SpeaEngineering e Autostrade, accusati di aver redatto rapporti falsi sullo stato di salute di altri tre viadotti del Gruppo. Motivo per cui il titolo è crollato in Borsa, tornando appena sopra i minimi storici di quindici mesi fa, quando crollò il Ponte.
Diciamo questo convinti che il governo gialloverde, e in particolare il suo ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli abbiano fatto tutto quel che potevano per peggiorare la situazione, accusando del crollo Autostrade per l’Italia a poche ore dalla tragedia, e chiedendo la revoca delle concessioni autostradali più volte, senza alcuna condanna a suffragare tale decisioni. Tuttavia in questo contesto già devastante di suo, Castellucci ha rincarato la dose, rifiutando di scusarsi per il crollo del ponte, nonostante la perizia del giudice per le indagini preliminari avesse dimostrato il deterioramento del 68% dei cavi e che gli unici “interventi atti a interrompere i fenomeni di degrado (…) ritenuti efficaci risalgono a 25 anni fa”, quando Castellucci se ne stava ancora al Boston Consulting Group.
Sarebbe bastata una buonuscita più rispettosa delle legittime rivendicazioni di chi sul ponte Morandi ha perso una persona amata, o che ha perso una casa sotto le macerie. Oppure un gesto altrettanto simbolico, come il versamento di una somma di pari valore per la ricostruzione e la riqualificazione del quartiere devastato dal crollo. O ancora, la decisione di devolvere in beneficienza almeno i 13 milioni di euro della buonuscita in senso stretto. Sarebbe bastato questo, in un’era in cui reputazione e comunicazione sono tutto, per evitare che la defenestrazione di Castellucci si rivelasse un boomerang, come in effetti si è rivelato essere.
E qualcuno, forse, avrebbe dovuto dirlo, sia ai Benetton, sia ai Castellucci, che oggi la comunicazione è tutto. Che dopo la crisi economica del 2008 essere élite comporta delle responsabilità e degli obblighi, non solo dei privilegi. Che la reputazione un’azienda se la conquista anche nella capacità di saper chiedere scusa e di corrispondere alle scuse con un comportamento consequenziale, a difesa di chi ha perso tutto. Che tutto questo ha un valore enorme anche per gli azionisti e i portatori d’interesse dell’azienda. Non averlo capito per quindici mesi, con tutti i danni che ne sono seguiti, è un errore che basterebbe da solo a giustificare un corposo taglio alla buonuscita di Castellucci. Non averlo capito ieri, per i Benetton, non è che l’ultimo chiodo sulla bara di una reputazione in mille pezzi, che produrrà nuova rabbia, nuove contestazioni, nuove pressioni a favore della revoca delle concessioni. Applausi.