Ho appena ricordato come la telenovela greca non sia affatto conclusa con gli accordi di lunedì scorso sulla ristrutturazione del debito e il via libera a 130 milairdi di euro di nuovi aiuti comuniteri e come anzi la sequenza di eventi in corso (lo testimonia l’immediato nuovo downgrade di Atene da parte di Fitch) mostri una ossessiva ripetitività che rende l’esito della vicenda fin troppo prevedibile (per citare l’economista Edward Hugh) e certamente non in termini positivi per nessuno. Mi sono anche domandato quale possa essere la via d’uscita da questo “cul de sac” (per citare una battuta che sta girando in rete ci vorrà comunque un “sac de cul” per riuscirvi): lasciar fallire la Grecia? Promuovere riforme e trovare incentivi alla crescita come chiedono 12 premier europei tra cui Monti e Cameron? Rassegnarsi a nuove ondate migratorie che svuoteranno il Sud Europa? Accettare l’idea di una Eurozona a due velocità, o di uno spezzatino dell’euro? Chi ha qualcosa da dire e soluzioni concrete da proporre si faccia avanti, concludevo.
Bene, dopo neanche 24 ore (grazie alla segnalazione su Twitter da parte di un consulente finanziario indipendente col quale mi capita spesso di dialogare a distanza) noto un report della divisione di ricerca economica di Bnp Paribas che vale la pena di leggere perché chiarisce, se qualcuno ancora avesse dei dubbi, come la Germania e la sua fobia per il debito e i “cattivi” debitori del Sud Europa abbia cacciato davvero l’Europa intera in un bel pasticcio. La nota si intitola significativamente: “Scambiare solidarietà contro austerità” e ricorda come la promessa fatta a fine 2011 dal ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble di “stabilizzare nel 2012 l’Eurozona” non si possa per ora considerare più che una pia intenzione cui non sono seguiti atti concreti.
Se sui mercati obbligazionari le curve dei tassi di paesi come l’Italia e la Spagna sono tornate a calare, ciò è dovuto più all’azione della Bce (e in particolare alla prima operazione Ltro con cui a dicembre sono stati forniti 489 miliardi di liquidità a tre anni all’1% alle banche europee) che non all’azione “riformatrice” dei governi, spiegano gli esperti che giudicano la mossa di Mario Draghi “la prima risposta credibile alla crisi”. Per il resto si è visto poco o nulla del “pacchetto” di misure che avrebbero dovuto porre fine alla crisi del debito sovrano
Di fatto i due soli strumenti finora partoriti dai leader europei sono stati due fondi, l’Efsf e l’Esm, “ma entrambi sono chiaramente sotto finanziati” e i loro effetti positivi “sono stati più che controbilanciati da altre iniziative molto più discutibili” come la decisione di coinvolgere i bondholder privati nella crisi del debito greco con la richieste di adesione “volontaria” alla ristrutturazione dello stesso (“contro cui la Bce si è battuta alla morte”) e la decisione di valutare col meccanismo mark to market tutti i titoli di stato detenuti dalle banche adottata (sotto pressione tedesca) dall’Eba, “il che ha reso popolare l’insolita visione per cui qualsiasi paese, anche se sviluppato o membro della comunità economica europea può essere un debitore come un altro, ossia avere le stesse probabilità di finire in default”.
Una visione che le agenzie di rating hanno finito coi loro ripetuti downgrade (la sola Standard & Poor’s ha tagliato oltre 30 volte i rating sovrani di paesi dell’Eurozona da inizio 2010) di rafforzare, amplificando la sfiducia dei mercati nel debito sovrano. “Per quanto siamo favorevoli ad ammettere che la soluzione alla crisi richiederà la messa in atto di misure sufficienti a garantire le necessità di quelle banche il cui business è investire il risparmio privato, dobbiamo anche ammettere che molto resta da fare nell’Eurozona”. Ad esempio “imporre una maggiore austerità al Sud Europa è semplicemente un’idea priva di senso a meno che non sia coniugata a una maggiore solidarietà da parte del Nord Europa. Altrimenti semplicemente la divergenza tenderà a crescere e Germania e Italia stanno già muovendosi in direzioni opposte”, affermazione quest'ultima che le nuove stime della Commissione Ue in materia di andamento del Pil nel 2012 hanno confermato giusto stamane: per l'Eurozona si prevede ora un calo medio del Pil dello 0,3% contro attese pari a +0,5% formulate a novembre, per la Germania +0,%, per la Francia +0,4%, per l'Italia -1,3%, per la Spagna -1% per non dire del Portogallo, visto a -3,3% e della Grecia, -4,4%.
Per ora, continuano gli analisti francesi, la Bce “sta facendo molto per promuovere la stabilità a breve termine nell’Eurozona”. A medio termine “il parlamento europeo ha appena votato a favore dell’utilizzo degli Eurobond. C’è da sperare – concludono gli esperti di Bnp Paribas – che il messaggio venga recepito dai capi di stato e di governo”, a partire dalla Germania, aggiungo io. Tutto giusto, a patto, sottolineo nuovamente, che questo sforzo si indirizzi a favore della crescita, come notava una mia amica che da quasi 20 anni si è trasferita in Grecia, perchè per uscire dalla crisi “ci vogliono investimenti, ci vogliono infrastrutture, ci vogliono industrie che producano ricchezza (e posti di lavoro), ma io fino adesso ho sentito soltanto parlare di come bisogna ripagare il debito. Se non si danno incentivi alle imprese (anche piccole) come si fa a crescere? Se con le nuove norme induci il privato libero professionista e piccolo imprenditore a chiudere la propria attività, come si fa a crescere? Se lo stato non garantisce quel minimo nella sanità, nell’istruzione, come si fa a crescere?”
Appunto: se non si scambia rigore (“i greci hanno capito che devono cambiare mentalità, ma è molto dura non avere assolutamente fiducia nella classe politica, sentirsi traditi dai propri leader e sentirsi umiliati per colpe non proprie” aggiungeve la mia amica) con solidarietà le divergenze all’interno dell’eurozona non potranno che portare a un esito distruttivo. Mario Draghi sta facendo quanto in suo potere per concedere più tempo possibile ai leader politici per varare le necessarie riforme e misure sia di austerità sia di solidarietà, il resto tocca ai leader politici: dati gli esiti visti finora non c’è molto di cui stare allegri eppure non possiamo smettere di provare tutti a esercitare la nostra pressione come cittadini ed elettori, oltre che come investitori, perché qualcosa finalmente cambi. Le soluzioni esistono, basta volerle mettere in atto ragionando in termini realmente comunitari e non meramente a livello nazionale in base a interessi politici di parte.