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Opinioni

Anche Unicredit cederà crediti deteriorati e asset non più strategici?

Autunno, cadono le foglie e cadono anche gli asset che le banche italiane devono iniziare a collocare per alleggerire i bilanci altrimenti bisognosi di nuovi onerosi aumenti di capitale. Da Mps a Unicredit fino a Banca Carige, cosa bolle in pentola…
A cura di Luca Spoldi
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Banche italiane che restano sotto i riflettori in borsa, complice un turbinio di voci relativi a nuove cessioni e operazioni straordinarie. Oltre alla possibile conversione di parte dei bond subordinati emessi da Mps in titoli azionari, operazione che solleva non pochi dubbi tanto più, come nota anche l’ottimo Seminerio, che non si capisce se riguarderebbe oltre ai bond Tier 1 (emessi per soli 500 milioni di euro) anche i lower Tier 2 (2,5 miliardi) e/o gli upper Tier 2 (2 miliardi distribuiti agli investitori retail) e quale interesse avrebbero gli obbligazionisti a diventare azionisti (in sostanza evitare in un eventuale “bail in” di subire un trattamento ancora peggiore) tengono banco le ipotesi di cessioni da parte di Unicredit, che già in luglio ha iniziato a collocare quote di minoranza di FinecoBank e Bank Pekao raccogliendo poco più di 600 milioni.

Ora potrebbe essere la volta di due operazioni di cui l’una, l’accasamento di Pioneer Investments, resasi necessaria a causa del nulla di fatto,  dopo 20 mesi di trattative, dell’integrazione con le attività di asset management del Banco Santander da cui sarebbe dovuto nascere un gruppo con circa 400 miliardi di euro di masse gestite ma che le perplessità dell’Antitrust Usa prima e l’esito referendario britannico favorevole alla Brexit poi (nonché la scomparsa di Emilio Botin e l’uscita di scenda di Federico Ghizzoni, ossia i due padri dell’intesa originaria) ha finito col condurre su un binario morto.

L’altra o meglio le altre riguarderebbero la cessione della restante partecipazione in Bank Pekao (il 40,1%), da cui si potrebbero ricavare tra 3 e 3,5 miliardi, utili a ridurre l’eventuale aumento di capitale di cui si discute da mesi e che gli analisti stimavano poter oscillare tra i 4 e gli 8 miliardi di euro a fine giugno, prima che si aprisse la campagna cessioni, ma forse anche di FinecoBank, che sembra piacere o quanto meno non dispiacere a Banca Generali, controllata di Generali Assicurazioni nel settore del risparmio gestito.

Una fusione sul tipo di quelle che si stava studiando tra Pioneer Investments e Santander Asset Management (e che lo stesso numero uno di Unicredit, Jean-Pierre Mustier, ha già portato a termine quando era Ceo di Societe Generale) e che potrebbe ora essere riproposta a Intesa Sanpaolo, puntando a integrare Pioneer e Eurizon così da far nascere un campione italiano forte di quasi 500 miliardi di patrimoni in gestione (in grado di generare cospicui flussi di commissioni) non sembra però facilmente proponibile tra FinecoBank e Banca Generali.

Troppo diversi sembrano i modelli di business, troppo complesse le operazioni per integrare le due strutture, troppo oneroso lanciare eventualmente un’Opa su FinecoBank (che capitalizza oltre 3,2 miliardi) o su Banca Generali (oltre 2,1 miliardi di capitalizzazione). Così più probabile appare un eventuale “semplice” scambio di partecipazioni azionarie (un 3%-5% come si usa in questi casi) e una progressiva integrazione dell’offerta commerciale e di servizi di consulenza finanziaria, online e sul campo. Anche così l’operazione andrebbe “digerita” a medio termine, ma consentirebbe di mantenere almeno in parte l’apporto positivo in termini di utili che sarebbe perso in caso di una completa cessione di FinecoBank.

Ultima ma non meno importante operazione, anche Unicredit avrebbe allo studio il collocamento di una cospicua porzione del suo portafoglio Npe (si parla di una ventina di miliardi, pari a circa il 40% del portafoglio complessivo), che potrebbe godere per la tranche senior delle garanzie statali Gacs così da spuntare un prezzo non troppo distante da quello di bilancio, che per Unicredit è meno disallineato che non per altri istituti avendo la banca guidata da Jean-Pierre Mustier effettuato un più elevato tasso di accantonamenti a rischio su crediti.

Dato che non c’è due senza tre, attendiamoci che anche Banca Carige, da tempo a sua volta in predicato di varare un aumento di capitale da 400-500 milioni di euro, definisca quanto prima un piano di cessione di sofferenze e/o crediti deteriorati e forse qualche attività “ex” core, come Banca Cesare Ponti, il cui avviamento è stato integralmente svalutato per 19,9 milioni di euro al termine del primo semestre dell’anno. Come sia, la sensazione è che per le banche italiane sarà un autunno alquanto ricco di attività, anche se probabilmente più straordinaria che ordinaria.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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