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Opinioni

Anche l’Italia entra nella banca promossa da Pechino

Anche l’Italia, assieme a Francia e Germania, entra a far parte come la Gran Bretagna dell’Asian Infrastructure Investment Bank voluta da Pechino. A costo di far irritare gli Usa, gli stati europei puntano sul ricco mercato asiatico per garantire lavoro alle proprie imprese…
A cura di Luca Spoldi
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Con una scarna nota stamane il ministero dell’Economia e Finanze ha fatto sapere che Francia, Germania e Italia intendono “diventare membri fondatori della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib)”, nuova banca d’investimento “che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti” potendo svolgere “un ruolo di rilievo nel finanziamento dell’ampio fabbisogno infrastrutturale dell’Asia”. In questo modo, spiega la nota del Tesoro, “la Aiib promuoverà lo sviluppo economico e sociale nella regione e contribuirà alla crescita mondiale”. Francia, Germania e Italia, operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali, intendono lavorare con i membri fondatori della Aiib “per costruire un’istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti”.

Tralasciando quest’ultimo punto, perché quanto ad appalti l’Italia al momento non sembra in condizioni di dare lezione a nessuno, la decisione dei tre paesi di imitare la Gran Bretagna (che ha già dato la sua adesione la scorsa settimana) rischia di irritare ulteriormente Washington, che vede nella nascente banca infrastrutturale asiatica, promossa da Pechino, l’ennesimo tentativo della Cina di espandere il proprio raggio d’influenza economica, ai danni della World Bank e dell’Asian Development Bank, entrambi istituti sponsorizzati fortemente dagli Stati Uniti. L’imbarazza in America è palpabile in queste ore, dato che finora le pressioni di Washington avevano fatto sì che Giappone, Corea e Australia declinassero l’invito a far parte dell’Aiib (fondata lo scorso anno a Pechino). Ora le cose potrebbero cambiare, con l’Australia che pare essere tentata da saltare sul treno in partenza al pari di Seul.

Che Aiib possa essere lo strumento con cui la Cina sfiderà gli Usa per la supremazia economica mondiale è evidente, che possa essere una pedina fondamentale nella partita in corso per la ridefinizione delle regole che governano il commercio mondiale è altrettanto probabile e potrebbe avere conseguenze sgradevoli anche per l’Europa e l’Italia (preparatevi alle solite geremiadi dei nostri politici il giorno in cui cadranno ulteriori dazi alle importazioni dalla Cina). Ma visto che quello appena incominciato è a parere unanime di tutti gli economisti e banche d’affari destinato a diventare “il secolo asiatico” la battaglia di Washington (e dell’Europa se non avesse deciso di muoversi) rischia di risultare meramente di retroguardia. Il potere economico da tempo si sta sposando ancora più a Oriente, come peraltro era già avvenuto il secolo passato quando la capitale dei mercati finanziari e commerciali mondiali era divenuta New York ai danni di Londra, in parallelo al tramonto dell’impero coloniale britannico e all’ascesa degli Usa come superpotenza mondiale.

Il mercato del futuro, più che l’Europa, destinata a una modesta ripresa o una lunga stagnazione, a seconda dei punti di vista e dei singoli paesi, o degli Usa, che pure restano al momento la locomotiva mondiale, è l’Asia: entrare a far parte di un istituto che finanzierà nei prossimi anni le principali infrastrutture in settori come trasporti, energia e telecomunicazioni è evidentemente una mossa strategica per sperare di aprire alle proprie imprese tale mercato, garantendo quei fatturati e quegli utili che in Italia e in Europa non sono più immaginabili, se non altro per la debolezza della domanda, stremata dalla “cura letale” tedesca portata avanti a colpi di austerity, e per gli elevati debiti pregressi che stati come l’Italia, ma anche la Spagna, la Francia o la stessa Germania (per non parlare della Grecia, che secondo Alex Brazier, nuovo responsabile rischi e stabilità finanziaria della Bank of England, semplicemente non appare in grado di ripagare i debiti contratti con la “troika” in nessuno scenario “realistico”) che impediscono di fatto di immaginare possibile un rilancio in grande stile della crescita per mezzo della “mano pubblica”.

Secondo il Financial Times l’Aiib, di cui fanno già parte 21 paesi dell’Asia e del Medio Oriente (Bangladesh, Brunei, Cambogia, Cina, Filippine, India, Kazakhstan, Kuwait, Laos, Malaysia, Mongolia, Myanmar, Nepal, Oman, Pakistan, Qatar, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Uzbekistan e Vietnam) e da cui alla fine potrebbe rimanere fuori solo il Giappone, sia in quanto azionista con gli Usa della Asian Development Bank, sia a causa della storica rivalità con Pechino, dovrebbe avere inizialmente a disposizione un attivo patrimoniale di 50 miliardi di dollari (100 miliardi a regime), che se investiti “a leva” potrebbero muovere cifre nettamente superiori.

Anche senza arrivare ai livelli in verità poco realistici (leva 15) previsti dal “piano Juncker” su cui pure continua a dire di voler puntare il governo Renzi per sostenere la ripresa italiana, tuttora assente dai radar, una leva pari a 3 consentirebbe di realizzare progetti tra i 150 e i 300 miliardi di dollari di controvalore, tanto più preziosi per le imprese europee in quanto del tutto equivalenti come controvalore al piano europeo se il davvero l’euro dovesse scivolare sotto la parità col dollaro (Goldman Sachs proprio in questi giorni ha rivisto la stima del cambio dollaro/euro a 0,8 entro fine 2017). Una considerazione ancora più vera nel caso dell’Italia, che avrebbe rischiato di fare la fine del vaso di coccio tra vasi di ferro se fosse rimasta troppo a lungo alla finestra, confidando nella buona sorte o nella benevolenza di Bruxelles o di Berlino.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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