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Anche Esselunga e Moncler rischiano di finire in mani estere

Esselunga piace ai fondi americani Cvc e Blackstone, Moncler sembra poter finire nel mirino della cinese Fosum: nei prossimi mesi quanti altri gruppi e marchi italiani cambieranno bandiera?
A cura di Luca Spoldi
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Manca ancora qualche giorno all’equinozio d’autunno, ma per quanto riguarda il “Made in Italy” sembra già tempo di foglie cadenti, anzi di offerte. Sotto i riflettori sono due nomi molto noti come Esselunga e Moncler: nel primo caso si parla della decisione dell’ottuagenario fondatore Bernardo Caprotti  (che il prossimo 7 ottobre spegnerà 91 candeline) di affidare a Citigroup l’incarico di esaminare alcune proposte d’acquisto che sarebbero già arrivate dai fondi americani Cvc Capital Partners e Blackstone.

Non è la prima volta che Esselunga sembra sul punto di cambiare bandiera: negli anni concorrenti come l’americana Wal-Mart e la spagnola Mercadona hanno provato a convincere il “patron”, rimasto saldamente sul ponte di comando del suo impero, a cedere la sua creatura. Non se n’è fatto nulla, ma questa volta potrebbe andare diversamente, complice un irrisolto e forse irrisolvibile problema successorio, dopo lo scontro coi figli del primo matrimonio, Giuseppe e Violetta (estromessi nel 2011 dal controllo di Supermarkets Italiani, la holding che controlla il gruppo, ma una causa di merito è tuttora pendente in Cassazione) e data l’apparente impossibilità di trovare un accomodamento che possa tutelare anche l’ultimogenita Marina, avuta dall’attuale moglie.

Moncler invece  a fine luglio ha visto un primo riassetto tra i soci con l’uscita di scena di Tamburi Investment Partners dalla holding di controllo (Ruffini Partecipazioni, di cui era socia al 14%), per diventare azionista diretta di Moncler col 5,125%, e l’ingresso sempre in Ruffini Partecipazioni del fondo sovrano di Singapore, Temasek, e dell’investitore e presidente di Dufry, l’imprenditore Juan Carlos Torres (con una quota complessiva del 24,4%). Il tutto mentre la holding d’investimento francese Eurazeo ha mantenuto il suo 15,535% in Moncler, mentre Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato di Moncler, ha ridotto la sua presa su Ruffini Partecipazioni (che resta azionista di controllo di Moncler col 26,75%) dall’86% al 75,6%.

In sintesi: Moncler in estate ha aperto il capitale a nuovi soci esteri, ufficialmente per crescere ancora. Adesso però il produttore di abbigliamento sportivo di lusso sembra piacere al gruppo cinese Fosun International e questo potrebbe cambiare le carte in tavola, nonostante l’intesa tra Temasek, Ruffini e Torres preveda un “lock up” (divieto di vendita delle azioni) di tre anni per i due soci entranti e di due per Rufini.

Fosum, controllata dal miliardario cinese Guo Guangchang, è il principale conglomerato privato della Cina continentale ed è già azionista di maggioranza (col 30%) del marchio tedesco Tom Tailor, ha dal 2013 una partecipazione del 35% nell’italiana Raffaele Caruso, che produce abiti per marchi come Christian Dior e Lanvin, ed di recente acquistato il 60% del marchio francese Iro (il 40% è rimasto in mano ai due fratelli fondatori di Iro, Laurent e Arik Bitton).

Se dal punto di vista degli investitori è senz’altro una storia promettente, tanto che Morgan Stanley ha rivisto il giudizio sul titolo Moncler da “equal weight” a “overweight” alzando anche il target di prezzo da 16 a 18 euro, per il “Made in Italy” si tratterebbe, come nel caso si concretizzasse la vendita di Esselunga, dell’ennesima bandiera ammainata. Segno che qualcosa nell’economia italiana non funziona, a livello di gestione del passaggio di consegne da un imprenditore ai suoi eredi diretti o indiretti che siano. Non che sia una novità, visti i precedenti illustri, dai dadi Star della famiglia Fossati ai vini Gancia, dagli abiti di Fendi e Brioni ai gioielli di Bulgari e Pomellato.

Eppure ogni volta è la conferma che quando il gioco si fa duro e sul tavolo compaiono i soldi veri, di imprenditori disposti a rischiare in Italia ce ne sono sempre pochi, vuoi per mancanza di prospettiva del mercato domestico vuoi per le ridotte dimensioni delle nostre aziende sulla scacchiera internazionale. Peccato, perché se continueremo a cedere i nostri migliori marchi e pezzi della grande distribuzione a grandi colossi internazionali, per chi resta, quasi sempre aziende e marchi di nicchia o comunque di minori dimensioni, sarà ancora più dura ritagliarsi un proprio spazio, con le conseguenze prevedibili anche in campo occupazionale oltre che di produzione di ricchezza per il paese e i suoi abitanti tutti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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