Il 25 aprila si celebra la liberazione dell’Italia dalle forze nazifasciste. Ne approfitto per suggerire di provare a rinnovare il significato di questa festa cercando di liberare le forze produttive del “bel paese” dall’occupazione di forze che della mala gestione e del conflitto di interessi hanno fatto la propria bandiera a discapito del resto del paese. Negli ultimi mesi si è intensificato lo sforzo del governo per riformare il credito e questo è un bene, ma molti segnali sono risultati discordanti rispetto all’obiettivo finale di contribuire a creare le condizioni per una ripresa economica concreta e sostenibile, oltre che socialmente più equa, ci si augura.
Iniziamo dal tema mai risolto dei pagamenti in ritardo: secondo Cribis a fine marzo 2016, i pagatori puntuali rappresentano appena il 35,1% del totale, mentre i pagamenti con oltre 30 giorni di ritardo si assestano al 13,8%. Rispetto all’ultimo trimestre 2010, alla fine del primo trimestre 2016 i pagamenti “data fattura” sono in calo del 6,4%, quelli entro 30 giorni del 10,4%, mentre sono in crescita del 150% quelli oltre i 30 giorni. Non stento a crederlo, visto che ad oggi solo il 33% dei clienti della mia società pagano entro 30 giorni data fattura.
Le micro imprese, aggiunge Cribis, pagano puntualmente nel 36,2% dei casi pur registrando la percentuale più alta di ritardi gravi (15,1%), cosa che ancora una volta non mi sorprende, visto che i “piccoli” tendono a non accumulare troppi debiti sinché possono, ma quando lo fanno è di solito per una crisi di liquidità dalla quale non riescono a uscire facilmente e che è in troppi casi l’anticamera del fallimento. A pagare in ritardo sono dunque lo stato e le grandi imprese e se lo possono fare è sostanzialmente per un rapporto di forza pura e semplice.
Siccome il 70% delle aziende italiane cade nella categoria delle Piccole e medie imprese, è auspicabile che il governo dia il buon esempio azzerando lo stock di pagamenti in ritardo e varando norme specifiche e altrettanto severe rispetto a quelle allo studio per garantire la possibilità di riscuotere in tempi certi i crediti vantati dalle banche nei confronti delle imprese. Diversamente si potranno scrivere fiumi d’inchiostro ed erudite analisi per spiegare che il male oscuro dell’Italia è la debolezza del suo sistema economico ancora troppo legato alle micro e piccole imprese e che occorre innovare: sarà difficile che si possa farlo se non si ha neppure la liquidità per guardare al di là della mera sussistenza.
E qui si tocca il secondo tema su cui occorrerebbe giungere ad una liberazione, quello del credito. In Italia il credito resta gestito da una casta che tolte alcune lodevoli eccezioni presenta fin troppo spesso soggetti decisori, anche e soprattutto ai massimi livelli, che si sono rivelati essere incompetenti, o maneggioni o peggio ancora incompetenti e maneggioni allo stesso tempo. E’ il sistema delle “banchette” locali, legate a doppio filo alla politica locale, gestite da “notabili” altrettanto locali, che rifiuta di utilizzare nuove tecnologie di analisi del merito di credito basate sui grandi numeri, ad esempio, semplicemente perché non le capisce o non vede che interesse personale potrebbe trarne.
E' il sistema bancocentrico che fornisce credito agli “amici” per avere una rilevanza su base locale ma poi spalma il costo (e il rischio) di tali scelte su tutta la clientela, intossicando il tessuto produttivo che dovrebbe contribuire a sviluppare. Intendiamoci, non che le grandi banche siano tanto meglio: perché se il fondo Atlante è la soluzione ai problemi del credito, si chiede ad esempio su Twitter Massimo Scolari, presidente di Ascosim, “non l’hanno fatto per le 4 piccole banche” risolte a dicembre?
Sarà forse perché in quelle quattro risoluzioni non erano rimaste coinvolte grandi banche nazionali che invece sarebbero rimaste scottate dal fallimento degli aumenti di capitale di Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca? Chissà, fatto sta che Atlante non è comunque una soluzione di sistema, ma consente ad alcuni esponenti del sistema di evitare conseguenze ancora peggiori, ad esempio agli ex vertici delle due banche venete di finire anche solo sotto inchiesta per eventuali ipotesi di bancarotta fraudolenta, evitandosi lo stato di dissesto dei due istituti.
Insomma: buon 25 aprile a tutti, ma speriamo che la liberazione non resti solo una giornata di celebrazione della memoria, ma possa trasformarsi in uno spirito fattivo che “lotti con noi” e ci consenta di ammodernare questo paese, introducendo pratiche di buona gestione e tutelando tutti e non solo alcuni. Perché altrimenti il mio vecchio sospetto che l’Italia sia già fallita da un pezzo senza che nessuno abbia pronunciato formalmente tale sentenza troverebbe un’ulteriore prova e francamente non me lo auguro.