Non date troppo retta a giornali e telegiornali che commentano come ieri a causa della Libia, oggi del clima preelettorale e della possibile affermazione di “movimenti populisti anti euro”, la borsa italiana continui a soffrire. In realtà se ieri il calo è stato quasi del tutto apparente e dovuto allo stacco di dividendi per circa 7 miliardi di euro complessivi (con un introito per il fisco di oltre 1,8 miliardi, sufficienti a garantire l’erogazione dei famosi 80 euro lordi di bonus mensile a una platea di 10 miloni di lavoratori dipendenti italiani), oggi la giornata è stata certamente volatile, ma più che la politica (che negli anni ha ridotto notevolmente la sua capacità di influenzare i mercati) a pesare sono state singole trimestrali e operazioni di ricapitalizzazione che vanno dalle italianissime Bpm e Italcementi (che chiedono al mercato 500 milioni a testa) alla tedesca Deutsche Bank, che invece chiede 8 miliardi (di cui 1,75 attraverso un aumento riservato agli emiri del Qatar, già entrati anni fa nel capitale di un’altra “grande banca” europea, la britannica Barclays) portando a ben 21 miliardi gli aumenti effettuati dal 2010 a oggi.
Tra i titoli che da tempo hanno imboccato un sentiero discendente, dopo aver segnato per mesi continui rialzi, vi è (in calo anche oggi) Mediaset ed anche in questo caso i media italiani tirano fuori la storia del “peso” delle prossime elezioni che potrebbero (il condizionale è d’obbligo visto i precedenti storici) segnare un colpo decisivo nel tramonto del “partito di plastica” che dopo il padre-padrone Silvio Berlusconi (che di Mediaset è azionista di controllo attraverso Fininvest) non ha voluto o saputo trovare eredi (salvo l’ipotesi, ventilata più volte ma giudicata dagli analisti finanziari prima ancora che dagli osservatori politici, di una “discesa in campo” dei figli Marina o Piersilvio).
In realtà se è indubbio che la stagione delle “larghe intese” sembra aver fatto bene al titolo, passato dagli 1,277 euro del nove novembre 2012 ai 4,328 euro del 4 aprile scorso, basta allargare un poco l’orizzonte dell’analisi per capire come a determinare le fortune o le sfortune borsistiche di Mediaset sia l’andamento o meglio le previsioni sull’andamento del mercato pubblicitario italiano, un mercato che è per definizione un “early ciclycal” ossia anticipatorio del ciclo economico più generale, e sul quale è sorta da anni una competizione tra differenti media, che si sta spostando sempre più a vantaggio del web e ai danni di carta stampata e televisione.
Se infatti si osserva l'andamento delle quotazioni, si nota come dagli oltre 11 euro del marzo-aprile 2005 (quando la domanda interna ancora reggeva e il web aveva un peso molto minore) il titolo sia gradualmente sceso sino ai già ricordati minimi del novembre 2012 cedendo nel complesso oltre l'88% prima di rimbalzare. Negli ultimi tempi a far scendere il titolo, che oggi ha chiuso a 3,31 euro, di circa il 23% in poco più di 40 giorni sono state le aspettative deluse sulla ripresa del mercato pubblicitario italiano e la dichiarazione da parte della stessa società che non è chiaro come il mercato stesso (che soffre più di altri settori la prolungata crisi della domanda interna conseguente alla repressione fiscale varata in tutta Europa, Italia compresa, in ossequio ai diktat e alle rigidità tedesche) possa avolvere a breve.
Secondo Credit Suisse, ad esempio, il mercato pubblicitario italiano crescerà in tutto il 2014 non del 6,5% rispetto al 2013, come inizialmente stimato, ma appena dell’1,5% dopo la partenza più “sottotono” del previsto di quest’anno. Una ripresa più consistente dovrebbe invece seguire nel 2015 e nel 2016 (+5,9% e +5,4%). Non solo: oltre ai timori sulla tenuta della raccolta pubblicitaria, non è chiaro, aggiungono gli analisti, quanto possa convenire al gruppo aumentare eventualmente la sua partecipazione in Digital Plus rilanciando rispetto all’offerta da 725 milioni messa sul piatto da Telefonica per la quota chePrisa si prepara a cedere (il 22%, quota pari a quella al momento in mano al gruppo italiano attraverso Mediaset Espana).
Mediaset già da qualche settimana sta con discrezione sondando le banche per verificare se vi siano i presupposti finanziari per sostenere un rilancio e procedere successivamente alla fusione di Digital Plus e Mediaset Premium. Un piano che dovrebbe costituire la risposta alla mossa di Rupert Murdoch di fondere Sky Italia, Sky Deutschland e la britannica BSkyB per creare la maggiore piattaforma televisiva a pagamento del vecchio continente (in grado di rilanciare la sfida al gruppo Liberty Global dell’ex socio di Murdoch, il tycoon americano John Malone). Secondo gli uomini del Credit Suisse, tuttavia, rilanciare non sarebbe una buona idea così come sembra dubbio l’appeal che potrebbe avere per Telefonica proporre un concambio tra il controllo di Digital+ ed una quota di minoranza in una joint venture nella televisione a pagamento su scala europea.
Piuttosto, ragionano gli analisti, sarebbe meglio che Mediaset vendesse le proprie quote ad un investitore terzo, valorizzando al massimo il proprio asset e non appesantendo con nuovo debito la controllata spagnola. Se questo scenario dovesse avverarsi entrambi i titoli (Mediaset e Mediaset Espana) dovrebbero recuperare terreno, concludono gli analisti, che notano come le attività italiane “core” del gruppo trattino attualmente su multipli molto modesti: valutando le partecipazioni in Mediaset Espana ed in Ei Tower a prezzi di mercato e ipotizzando che Mediaet Premium possa valere 1,1 miliardi, il business “Fta” (i canali generalisti di Mediaset) tratterebbero appena 6,2 volte il rapporto Enterprise Value / Ebitda stimato per il 2015 e solo 5,3 volte lo stesso rapporto calcolato per il 2016.
E’ tanto o poco? Se pensate che sulla base dei risultati 2013 (dunque ormai acquisiti) le stesse attività trattano implicitamente 7,8 volte il rapporto e che il mercato pubblicitario dovrebbe appunto riprendersi, non è certamente molto anche se questo non significa che domattina Mediaset tornerà a salire. Solo che se scenderà sarà probabilmente perché altri analisti e investitori saranno stati meno ottimisti sulle prospettive del mercato in cui opera Mediaset, o perché nel frattempo il mercato sarà ulteriormente cambiato, in modo meno favorevole a un “old media” come la televisione, generalista o a pagamento che sia.