Mentre Mario Draghi ha dato il via al programma d’acquisto di titoli di stato sul mercato da mille miliardi di euro, che regalerà al ritmo di 60 miliardi al mese pingue plusvalenze alle banche, traslando il rischio di eventuali minusvalenze sulla Bce e sulle singole banche centrali nazionali dell’Eurozona (col rischio ultimo che a contribuire più o meno volontariamente al risanamento dei conti delle banche siano ancora una volta i volta i cittadini europei), un fantasma continua ad aggirarsi per il vecchio continente e non si tratta, questa volta, della Grecia e del rischio che il continuo braccio di ferro tra Atene e Bruxelles (ovvero tra Atene e Berlino) finiscano per far saltare il precario accordo-ponte raggiunto solo due settimane or sono.
Il fantasma in questione ha un nome e cognome austriaco: è la “bad bank” sistemica austriaca, Heta Asset Resolution Ag, cui fanno capo tutti i crediti “non performing” eraditati nel 2009 da Hyp Alpe Adria, ex colosso del credito di Vienna, collassato cinque anni or sono sotto il peso dei crediti erogati nell’Est Europa, dopo essere costato 5,55 miliardi di euro ai contribuenti austriaci. All'epoca il portafoglio venne conferito per un valore nominale di 19,1 miliardi di euro; ora al termine di una propria Asset quality review (Aqr), Heta ha visto emergere una carenza di capitale tra i 4 e i 7,6 miliardi di euro dopo aver dovuto svalutato proprio gli asset ereditati da Hypo Alpe Adria di altri 5,1 miliardi a soli 8,7 miliardi di valore residuo.
Per quanto al momento Heta sia in grado di adempiere alle proprie obbligazioni (avendo tuttora disponibilità per circa 1,1 miliardi), il management in una nota ha avvisato che a breve non sarà più in grado di farlo. Avendo inoltre avvisato il suo azionista di riferimento, la Repubblica Austriaca, della carenza di capitale emersa, ha appreso lo scorso primo marzo dal ministero delle Finanze austriaco che Vienna non intende fornire ulteriori mezzi finanziari. In poche parole la “bad bank” di Hypo Alpe Adria fallirà una volta che sarà scaduta la moratoria sui debiti accordata ad Heta dall’autorità di vigilanza austriaca (Finanzmarktagentur, Fma) sino al 31 maggio del prossimo anno. Ma anche prima di allora per gli obbligazionisti senior di Heta, Deutsche Bank, Ubs e Pimco (gruppo Allianz) in prima fila, le cose potrebbero mettersi decisamente male.
Vale infatti ormai la regola del “bail-in”, ossia le perdite verranno in primo luogo subite da azionisti (il Tesoro austriaco) ed obbligazionisti senior (le sopra ricordate banche e società di gestione). Ovviamente anche il mercato se n’è accorto, tanto che i bond Heta quotati (l’emissione in scadenza nel 2017) che ancora a giugno dello scorso anno quotava attorno a 100, è rapidamente calata prima a quota 90 (a settembre), poi appena sotto quota 80 (a fine anno), infine in rapida successione a 70, a 60 ed ora sotto quota 50. Solo che il bond da 2 miliardi di euro in scadenza nel gennaio 2017 (che pagava finora una cedola nominale del 4,375% lordo annuo) è garantito per 10,2 miliardi di euro dalla Carinzia, regione austriaca che i trader londinesi hanno da tempo “sadicamente” ridenominata la “piccola Atene” della mitteleuropa e quindi il possibile fallimento di Heta rischia di trasformarsi nel fallimento dell’intera Carinzia.
C’è di più: per vedere se si riuscirà a evitare il peggio o se scatterà un “effetto-domino” non si dovrà attendere, come detto, l’anno prossimo: già venerdì prossimo (il 13 marzo) dovrebbero essere rimborsati bond a tasso variabile per 450 milioni di euro, mentre altri 500 milioni andrebbero rimborsati venerdì 20 marzo, bond, peraltro già crollati tra il 50% e il 60%. Il Tesoro austriaco dal canto suo ha fatto sapere che rispetterà le garanzie per 1 miliardo di euro sul bond in scadenza nel 2022, in caso di default, dopo di che la cassa sarà definitivamente chiusa. Con oltre 6,5 miliardi di perdite sulle spalle di contribuenti ed altrettante che rischiano di scaricarsi sulla Carinzia e sulle grandi banche obbligazioniste senior, anche molte più piccole Landesbanken austriache e tedesche rischiano di rimanere scottate e sembrano intenzionate a ricorrere ad azioni legali per tentare di tutelare i propri residui crediti.
Chissà se Vienna e Berlino, che si sono battute per evitare che la Bce estendesse ad Atene i benefici del suo programma di quantitative easing, chiederanno a Draghi di non acquistare neppure i titoli di Heta o se faranno finta di non vedere per salvare le proprie banche?