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Alle assicurazioni farà bene la Legge di Stabilità (forse)

Mentre il governo Letta si prepara a varare la Legge di Stabilità, il settore assicurativo torna a salire in borsa. Merito anche di una ricerca di Mediobanca Securities che spiega come le compagnie tradizionali potrebbero trarre beneficio dalle attese novità fiscali…
A cura di Luca Spoldi
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Domanda per aspiranti cittadini (e non sudditi): perché a poche ore dal varo di una Legge di Stabilità (la cara vecchia “Finanziaria” che ha cambiato nome da qualche tempo per tranquillizzare i gonzi, ma non la sostanza) che dovrebbe tra l’altro prevedere un incremento della tassazione sui capital gain relativi ad investimenti finanziari (con l’esclusione dei titoli di Stato) dal 20% al 22% e un aumento dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai prodotti finanziari dall’1,5 per mille all’1,65 per mille (ossia un’inasprimento della “patrimonialina” varata dal governo Monti (che prevedeva inizialmente un’aliquota dell’1 per mille, con un minimale di 34,2 euro e un massimale di 1.200 euro, poi salita da quest’anno all’1,5 per mille, senza alcun tetto), i titoli assicurativi stanno guadagnando terreno in borsa?

La risposta la svelano gli analisti di Mediobanca Securities: perché la Lege di Stabilità dovrebbe (se saranno confermate le ultime anticipazion) penalizzare “marginalmente le pure reti di raccolta del risparmio” come Mediolanum e Azimut (che in verità non sembrano darsene peso visto che i rispettivi titoli guadagnano terreno a Piazza Affari), mentre “Generali, Unipol-Fondiaria-Sai e Cattolica” Assicurazioni dovrebbero “risultare come marginali vincitori”. Infatti fondi pensione e polizze vita tradizionali (appartenenti al cosiddetto “Ramo I” e legate alle gestioni separate) dovrebbero continuare a restare esclusi dall’imposta di bollo, avvantaggiandosi anche del previsto allentamento della “stretta” introdotta per decreto a settembre quando, dovendo trovare risorse per coprire il mancato gettito Imu, la cui cancellazione è stata voluta dal Pdl con la scusa di ridare fiato alle famiglie italiane, al mercato immobiliare e all’economia tutta (in verità l’impatto reale è pressoché nullo dato che l’Imu sulla prima casa pesava mediamente sui 180-200 euro a immobile mentre il valore degli immobili stessi è solitamente pari a qualche centinaia di migliaia di euro), erano state tagliate anche le detrazioni Irpef sulla polizze Vita.

Ora invece, secondo quanto prevede l’emendamento al testo del decreto presentato dai relatori (Rocco Palese, Pdl, e Marco Causi, Pd), la soglia di detrazione ai fini Ifpef del 19% continuerà ad avere un tetto massimo di 630 euro (e non di 1.291,14 com’era originariamente) nel 2013, ma dall’anno prossimo lo vedrà calare “solo” a 530 euro e non in 230 euro come prevede finora testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, mentre le polizze “long term care” (per i lungo degenti) continuerebbero a godere del tetto originale di 1.291,14 euro annui. Insomma: di alleggerimento della pressione fiscale non se ne parla neanche lontanamente, ma almeno crescerà meno rapidamente del previsto. Se volete vedere il bicchiere mezzo pieno avete capito perché i gruppi maggiormente coinvolti nel business dei fondi pensione e delle polizze vita e sanitarie possono tirare un primo sia pur modesto sospiro di sollievo.

In realtà una più robusta motivazione per i rialzi dei titoli del settore sembra legato alla necessità ormai quasi improrogabile (nonostante o forse a maggior ragione dopo questi ennesimi rialzi della pressione fiscale) di procedere ad una riqualificazione ma anche ad un taglio della spesa pubblica. Parlare di spesa pubblica significa parlare di spesa pubblica corrente (si veda al riguardo il Bilancio in breve dello Stato) e questo, al netto degli 80-90 miliardi di euro rappresentati dagli interessi sul debito pubblico (che ad agosto è calato per effetto della diminuita disponibilità di cassa del Tesoro), per i quali dobbiamo solo sperare nella benevolenza dei mercati e nella progressiva ulteriore riduzione dei rendimenti e degli spread grazie soprattutto alla politica monetaria della Bce, significa parlare di tagli alla previdenza e all’assistenza pubblica.

Ancora più crudemente detto, siccome è difficile pensare che si possano tagliare le pensioni erogate (che al più potrebbero essere bloccate sui livelli attuali per uno o più anni) o limitare il ricorso agli ammortizzatori sociali (che anzi in situazione di prolungata recessione come l’attuale tende a crescere), a pagare il conto saranno i futuri pensionati e i futuri ammalati a carico del sistema sanitario nazionale, che dovranno fare i conti con risorse pubbliche in calo (salvo che non si torni a registrare una vera crescita, ma questa è un’altra storia). Da qui l’esigenza di fare di “necessità virtù” stipulando privatamente polizze vita, polizze sanitarie e fondi pensione per integrare i servizi offerti da un Welfare che sembra destinato a ridursi ulteriormente nonostante le riforme di questi anni. E questo non è certo una cattiva notizia, tanto più dati i tempi, per le aziende del settore, anche se resta da vedere se il probabile ulteriore calo del reddito disponibile degli italiani non finirà per più che compensare il “regalino” (si fa per dire) del governo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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