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Quanto vale ancora Alitalia? Non più di 230 milioni di euro

Quanto vale ancora Alitalia? Per rispondere alla domanda occorre partire da quanto pagò Ethiad nel 2014, tenendo conto delle perdite cumulatesi da allora…
A cura di Luca Spoldi
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Quanto vale Alitalia? Come noto ieri il Cda, a seguito della bocciatura da parte dei lavoratori del piano di ristrutturazione e rilancio che avrebbe impegnato i soci (e le banche) a versare altri 2 miliardi di euro per provare a rianimare Alitalia, ha presentato istanza di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, preso atto della “grave situazione economica, patrimoniale e finanziaria” in cui versa la società.

Alitalia infatti perde circa 2 milioni di euro al giorno trasportando 2 milioni di passeggeri al mese, rimettendoci quindi quasi 30 euro per ogni passeggero che vola sui suoi aerei. Difficile partendo da questi numeri per i tre commissari straordinari (Luigi Gubitosi, da mesi in predicato di entrare nel top management della società nel caso fosse passato il piano di ristrutturazione e rilancio, Enrico Laghi e Stefano Paleari) nominati già ieri sera dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, centrare l’obiettivo di una vendita in blocco di Alitalia ad un altro vettore europeo come Lufthansa, finora rimasta alla finestra.

Intanto per garantire la regolarità dei voli nei prossimi 6 mesi (Alitalia contava al momento 4,9 milioni di prenotazioni, il cui rimborso nel caso di messa a terra degli aerei sarebbe stato a rischio) il governo ha concesso un prestito oneroso (Euribor più il 10%) di 600 milioni, ossia il doppio della cifra inizialmente ventilata (e che avrebbe dovuto gravare su Invitalia), nonché del prestito ponte già erogato nel 2008 e poi giudicato dalla Commissione Ue un aiuto di stato illegittimo e rimasto come debito da rimborsare in capo alla “vecchia” Alitalia – Lai.

A questo punto per capire se Alitalia ha ancora un valore residuo di una qualche consistenza o se, come paventato già alcuni giorni fa dall’economista e blogger Mario Seminerio tale valore sia pari “più o meno al valore di recupero di molte sofferenze bancarie su prestiti al consumo” ossia pressoché zero “fatto salvo qualche aeromobile di proprietà”, occorrerà vedere il nuovo (ennesimo) piano industriale che i tre commissari saranno in grado di elaborare avendo un arco di tempo limitato, 6 mesi appunto, per completare la vendita in blocco o mettere in liquidazione (e quindi vendere a pezzi o chiudere) la compagnia.

Finora Alitalia al contribuente italiano è costata, secondo calcoli di Mediobanca, 7,2 miliardi, ma il governo continua ad escludere ogni ri-nazionalizzazione, sia pure temporanea (sarebbe la quarta in pochi mesi dopo quelle “sub iudice” della Commissione Ue di Mps, Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca). Ethiad, che nel 2014 pagò 560 milioni divenendo socio al 49%, si dichiara ora rammaricato ma sottolinea come sia chiaro che la compagnia “ha bisogno di una ristrutturazione profonda e su vasta scala per sopravvivere e crescere in futuro”.

Per dare un valore sia pure indicativo ad Alitalia occorre partire proprio da quanto Ethiad realmente pagò per la sua quota del capitale: per la partecipazione furono in effetti versati solo 387 milioni, altri 60 milioni vennero spesi per rilevare 5 slot da Fiumicino su Londra Heatrow (che quindi sono ormai di proprietà del vettore arabo), poi riaffitati alla stessa Alitalia, mentre 112 milioni sono stati versati per acquistare il 75% del programma di fidelizzazione Mille Miglia.

Pallottoliere alla mano, se fossimo ancora nel 2014 Alitalia potrebbe valere 790 milioni di euro, più altri 37,5 milioni per il 25% di Mille Miglia ancora posseduto, per un totale di 827,5 milioni. Da allora ad oggi, però, Alitalia ha perso 199 milioni nel 2015 e dovrebbe aver chiuso il 2016 (il bilancio non è stato ancora approvato) tra i 400 e i 600 milioni di perdita. Soldi che vanno dunque sottratti al valore iniziale per un residuo tra i 230 e i 30 milioni di euro, valore che logicamente dovrebbe già rappresentare un attivo patrimoniale fatto di marchio, slot, aerei e, appunto, la quota del 25% di Mille Miglia.

Di fatto Alitalia è dunque fallita, per la terza volta nell’ultimo decennio, e sul perché e per colpa di chi in tanti si scateneranno nei prossimi giorni. Noi possiamo solo dare un indizio: anche le low cost, accusate di aver “ucciso” le compagnie di media dimensione come Alitalia che non hanno avuto sufficienti risorse per spostare il business sul lungo raggio (solitamente profittevole, ma solo dopo un certo numero di anni di esercizio delle singole rotte), tendono a perdere soldi nel breve raggio, ma riescono a recuperare grazie ad un’intensa attività di trading di aeromobili.

In pratica comprando a prezzi scontati grandi flotte di aerei che vengono poi rivenduti “al dettaglio” dopo pochi anni, a prezzo ancora quasi pieno, vettori come Ryan Air riescono a più che compensare le perdite operative sui voli (voli che peraltro vengono gestiti a costi nettamente inferiori a quelli di compagnie come Alitalia ma anche come Lufthansa o Air France-Klm, riducendo all’osso i servizi offerti e sfruttando un costo del personale più basso).

Ha senso continuare a investire in un’attività in perdita strutturale, svolta in concorrenza di mercato, per trasformare la quale sono necessari ingenti capitali, come peraltro già visto nel caso dell’Ilva di Taranto? Detto in altri termini, anche dimenticandoci i 7,2 miliardi di euro già bruciati, con 600 milioni di euro quante startup si riuscirebbero a far nascere o quante Pmi potrebbero essere rifinanziate e riuscire così a sottrarsi dal laccio di un credito fornito quasi esclusivamente da un settore bancario a sua volta strangolato dal problema dei crediti deteriorati?

Domande cui dovrebbe rispondere, per prima, la politica. Che invece persevera nell’italico errore di cercare di rassicurare le proprie clientele continuando a combattere battaglie di retroguardia i cui costi saranno pagati dai contribuenti attuali e futuri, senza alcuna analisi del rapporto costi/benefici per l’intera comunità né tanto meno l’elaborazione di un ordine di priorità strategiche per il paese.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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