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Alberto Forchielli: “L’Europa dopo il Coronavirus? Ecco perché sarà sempre più tedesca”

Parla il manager ed economista, esperto di Cina e sud est asiatico: “La pandemia ridisegnerà le catene del valore globali: produrre tutto in Cina è un rischio troppo grande. L’Italia? A bocce ferme è già in default: dipendiamo dalla volontà europea di tenerci in vita. Coronabond? Non sono necessari, ma se al posto di Conte ci fosse Draghi ce li avrebbero concessi”.
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“Il problema è l’angoscia che troveremo fuori, quando si riapre”. Alberto Forchielli è a Imola, a casa sua, in quarantena a causa del Coronavirus. Una condizione inusuale per un cittadino del mondo come lui, partner fondatore di Mandarin Capital Partners,  35 anni di esperienza da giramondo tra sud est asiatico, Cina e Stati Uniti, una carriera che l’ha visto ricoprire il  ruolo di consigliere particolare del ministro della difesa, del bilancio e degli affari esteri, lavorare per anni alla World Bank e poi come responsabile di Finmeccanica per tutta l’area Asia/Pacifico:  “Troveremo negozi chiusi, ristoranti chiusi, aziende chiuse, gente diffidente che ti saluta a distanza, con la mascherina – spiega a Fanpage.it -. Il distanziamento sociale sarà la nuova normalità. Molti paragonano questa epidemia a una guerra: di sicuro, quel che accadrà dopo non sarà un dopo guerra, che ci sono le macerie ma la gente va a ballare. Sarà una ripresa triste”.

Lei che ha vissuto per lungo tempo in Cina, e che è cittadino del mondo per definizione, se l’aspettava una pandemia del genere?

Potrei atteggiarmi a profeta, visto che avevo scritto due anni fa un articolo due anni fa sull’inevitabilità della pandemia. La verità è che non mi sarei aspettato niente del genere. Anche quando era stata chiusa Wuhan io pensavo fosse una cosa che sarebbe rimasta confinata alla Cina, che sarebbe stato un disastro tutto loro e che si sarebbero ripresi in fretta, come al solito. E a chi faceva casino in Italia, tutta quell’isteria, non la capivo. Altro che profeta: avevano ragione loro, ad agitarsi.

È colpa della globalizzazione, questa pandemia da Coronavirus, come dicono alcuni?

L’epidemia non è arrivata a causa della globalizzazione. Le epidemie c’erano anche quando non c’era la globalizzazione, nel quindicesimo e sedicesimo secolo. La globalizzazione aiuta perché produce un grande movimento di persone.

Cambiamo domanda, allora: questa pandemia sarà la fine della globalizzazione?

La globalizzazione può frenare, dopo questa epidemia. Non per volontà dei governi, però. I governi questa epidemia se la dimenticheranno in fretta. Saranno le aziende a ricordarsene, semmai. Perché a causa del Coronavirus hanno imparato che andare in rottura di stock non è una bella cosa.

Spieghi meglio…

È semplice: avere fonti di approvvigionamento troppo lontane, o in mercati pericolosi come quello cinese non conviene più di tanto. È traumatico: i clienti ti chiedono i prodotti, ma la tua fabbrica cinese li non consegna perché è tutto chiuso. Non c’è settore che non sta sperimentando questo problema.

E quindi?

E quindi, dopo i dazi, dopo il costo del lavoro che aumenta, dopo le difficoltà burocratiche a operare i Cina, io credo che questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso. Io credo che le aziende avvicineranno, o diversificheranno, le loro fonti di approvvigionamento: un po’ in Cina, un po’ in India, un po’ in Turchia, un po’ nell’Est Europa, un po’ a casa. Essere dipendenti da una sola fonte d’approvvigionamento è un rischio che nessuno vorrà più correre.

Festeggiano i sovranisti, quindi. Un mondo con più confini….

In America tutto il fronte di quelli che volevano la spaccatura con la Cina festeggia. Sono convinti che sia la fine dell’offshoring, che tutto tornerà a casa, negli Stati Uniti o al più in Messico, nel giardino di casa: si accorciano le catene, torna il lavoro, ci teniamo la tecnologia, non gli insegniamo più a fare le cose come una volta. Loro la vedono anche in una dimensione bellica, peraltro: in caso di guerra, questa dipendenza dalla Cina sarebbe letale.

C’è chi pensa che la Cina, uscendone prima, finirà per avvantaggiarsi, invece….

La Cina ne esce due mesi prima, ma non fa tanta differenza. Se non sono usciti quelli che ti comprano la merce, come riparti? Anche loro non sanno dove andare a vendere. No, quello non sarà un vantaggio.

Chi ne uscirà vincitore da questa crisi?

In linea di massima succederà che i Paesi che hanno sistemi forti, tipo la Germania, il Giappone, la Corea del Sud, la Cina stessa, accentueranno il loro dominio sui Paesi che hanno sistemi deboli, come l’Italia, come l’India. La distanza tra forti e deboli aumenterà.

Anche in Europa?

Guarda la differenza nell’umore sociale tra Italia e Germania, ora: noi siamo tutti disperati, mentre i miei colleghi tedeschi sono tutti fiduciosi delle misure del governo. C’è una differenza di atteggiamento abissale. E questo perché? Perché il loro governo ha un mare di soldi da spendere, e li sta spendendo ora. Noi dobbiamo aspettare che ci autorizzino a chiederli in prestito.

Quindi ci aspetta un Europa sempre più tedesca…

Il divario si allarga. Le catene del valore a medio raggio se le disegneranno loro. Questa crisi rafforza i governi, gli Stati. In uno scenario economico dominato dalla mano pubblica vincono i Paesi con la mano pubblica più efficiente, e più soldi da spendere.

I nostri conti pubblici che fine faranno, in questa recessione?

Noi a bocce ferme siamo in default. La dico meglio: se non ci fosse la Bce saremmo già in default. Però.

Però?

Però tutto sarà relativo. Entreremo in un mondo in cui tutti sono più indebitati. Lo saranno gli Stati Uniti, lo sarà la Germania. Noi dovremo guardare il nostro debito in relazione al loro. Fino a qualche mese fa pensavamo che un debito pubblico al 150% del PIL non fosse sostenibile. Da domani, improvvisamente, lo sarà.

Tutto a posto, quindi?

Fino a un certo punto. Noi dipendiamo dalla volontà dell’Europa di tenerci a galla: bisogna vedere quando le misure della Bce saranno sufficienti per tenerci fuori dal default. Secondo me quella volontà c’è.

Però si è alzato un muro, quando abbiamo chiesto i coronabond…

Io non biasimo del tutto chi non vuole darci i coronabond senza mezza condizionalità: non diciamo quanto ci serve, non diciamo quando ci serve. Io capisco chi dice: ti ho appena dato un sostegno illimitato da parte della Bce, cosa ti serve ancora? Non ti basta?

Ecco: non ci basta?

Quella sui Coronabond è isteria collettiva. Noi siamo ingolositi dall’idea di poter finalmente andare a sbafo a spese dei tedeschi. Per questo vogliamo i Coronabond. Se fossimo seri, capiremmo che ci basta quel che ci ha dato la Bce. E poi c’è un altro tema.

Quale?

Chi va a chiederli, i Coronabond.

Giuseppe Conte…

Che è lo stesso Presidente del consiglio che l’anno scorso parlava di reddito di cittadinanza e Quota 100 insieme a Salvini. In Europa non se lo scorda nessuno. Se andasse Draghi a chiedere i Coronabond glieli darebbero. O meglio: lui saprebbe come chiederli, per ottenerli.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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