Mentre Moody’s conferma il rating sovrano italiano sia pure mantenendo un outlook negativo e con un severo giudizio circa i “fattori critici” che ancora rappresentano più di un problema per il Belpaese (dalla fragilità della domanda interna ed internazionale ai lenti progressi, rispetto ad altri paesi periferici, in tema di costo del lavoro, dalla scarsa redditività del sistema creditizio al rischio che l’incertezza politica possa nuovamente far calare la fiducia degli investitori nei titoli di debito del Tesoro itaiano) e in attesa che il neo ministro dell’Economia e finanze, Fabrizio Saccomanni, finora direttore generale di Banca d’Italia e in un recente passato accreditato come possibile successore di Mario Draghi) riesca a dare una sostanza alla desiderata svolta in materia di politica economica, i giudizi da parte delle principali case d’investimento per quanto rigaurda il neonato governo Letta sono positivi.
Sintetizza efficacemente una nota del Credit Suisse: l’Italia ha ora un nuovo primo ministro e un governo di “grande coalizione” che tra oggi e domani dovrebbero ricevere un’ampia fiducia sia dalla Camera dei Deputati sia dal Senato. “Una fine migliore delle prospettive alternative”, dal punto di vista dei mercati, “che sono state considerate non solo negli ultimi giorni ma anche prima delle elezioni di due mesi fa”. Perché tanto entusiasmo? Perché (fortunatamente, vorrei sottolineare non una ma tre volte) “il governo ha un chiaro profilo pro-Europa” nonostante la crisi e nonostante l’emergere “di alcuni sentimenti anti-euro in campagna elettorale” come notano anche gli analisti elvetici.
Enrico Letta “è un europeista ben noto, nonché ex parlamentare europeo”, Emma Bonino, il nuovo ministro degli Esteri, “è stata un rispettato Commissario europeo”, Enzo Moavero Milanesi, il ministro per gli Affari europei, “è stato il capo di gabinetto di Mario Monti presso la Commissione europea ed è stato ministro nel governo Monti”, mentre il nuovo ministro dell’Economia, appunto Fabrizio Saccomanni, “è stato un fattore chiave della costruzione euro(pea)” e oltre ad essere “stato fino a ieri uno dei più alti ufficiali della banca centrale italiana, ha lavorato in passato per il Fmi e la Bers” ed insomma saprà bene come muoversi e come farsi ascoltare (cosa che non è sempre accaduta con alcuni suoi predecessori negli anni passati, aggiungo io).
Inoltre secondo gli esperti “la maggior parte degli altri ministri hanno la caratteristica di essere particolarmente competente nel loro campo, relativamente giovani e/o politicamente più appetibili per gli elettori. Nessun uomo politico della “vecchia guardia” è entrato a far parte del governo”. Se il buon giorno si vede dal mattino potrebbe dunque essere messa da parte (sarà vero?) la stagione della conflittualità elettorale e della facile propaganda populista anti-euro per lasciar spazio a un esecutivo in grado di varare finalmente le riforme da tempo necessarie per ridare una prospettiva all’economia italiana. Peraltro, ammettono gli analisti del Credit Suisse “in modo non sorprendente non è ancora stato fornito un programma dettagliato” di quello che il governo Letta intende fare, ma lo stesso Letta “ha già delineato le priorità”.
La più importante “probabilmente implicherà un sostegno alle Pmi, attraverso il pagamento completo degli arretrati dovuti al settore privato, sconti fiscali per le imprese e un ridimensionamento della tassa sugli immobili introdotta dal governo Monti” (l’Imu, ndr). In più “le spese correnti dovranno essere tagliate, mentre alcuni finanziamenti supplementari potrebbero essere trovati attraverso una certa flessibilità nei vincoli europei”. Su questi ultimi due punti da analista e da italiano ha più di un dubbio (non fosse altro perché a differenza di altri paesi come Spagna o Francia rischiamo, dopo aver voluto e dovuto dimostrarci “virtuosi” di non trovare sponde per chiedere dilazioni e sconti per quanto riguarda il raggiungimento puntuale degli obiettivi di correzione dei conti concordati in sede Ue, col rischio di ritrovarci, da questo punto di vista, “cornuti e mazziati” se non sapremo arrivare a un compromesso in sede comunitaria).
La seconda priorità è secondo il Credit Suisse “quella di ri-orientamento delle politiche europee: verso una minore “austerità” e maggiore crescita. Questa è una visione che Enrico Letta condivide con la Commissione europea e molti altri paesi dell’Europa: la periferia chiaramente, ma ora anche la Francia e forse pure i Paesi Bassi. Mentre la Germania sembra ancora il paese da convincere”. E tuttavia “avrebbe senso per la Germania di stimolare la domanda interna in questa fase, per il paese stesso e per l’Europa nel suo insieme” quindi non è detto che Berlino non faccia buon viso a cattivo gioco (specie se come appare al momento scontato Angela Merkel non avesse alcun problema a farsi rieleggere a settembre).
Infine vi sarebbe “una terza serie di politiche chiave, dalla riforma del sistema politico, con una modifica della legge elettorale, alla trasformazione del Senato in un Parlamento regionale, fino alla riduzione del numero dei parlamentari. Per quanto questi provvedimenti siano stati promessi molte volte in passato da parte della classe politica, sarà, per il governo Letta, una cartina di tornasole per la propria popolarità, crediamo. Gli elettori di tutte le parti hanno chiesto simili cambiamenti e il principale partito di opposizione, l’M5S di Grillo, prospererà fino a quando queste riforme politiche non saranno davvero attuate”. Insomma: ora o mai più anche perché “il governo è ben bilanciato e appare forte, anche se la debolezza del sistema politico italiano potrebbe ancora abbatterlo”.
Tutto sommato, concludono gli esperti, il governo appare “sostenuto dalla presa di posizione e dalle opzioni a disposizione del presidente della Repubblica. In effetti, egli potrebbe indire nuove elezioni se il PD decidesse di ritirare il supporto al governo (nuove elezioni sarebbe più danni al Pd che al PDL secondo recenti sondaggi), inoltre egli potrebbe dimettersi – e in questo caso, sarebbe il PDL ad essere in maggiori difficoltà, in quanto si potrebbe trovare di fronte un nuovo presidente ostile e un governo diverso potrebbero essere formato, senza nuove elezioni, questa volta con una coalizione tra PD e M5S, tagliando fuori il PDL”. Nel complesso, concludono gli esperti, “vediamo rischi limitati di elezioni anticipate nel corso dei prossimi dodici mesi o giù di lì”. Non è molto, forse, ma all’occhio di un osservatore estero è già un bel passo in avanti rispetto alla situazione precedente, che poi basti a risolvere i problemi del paese è ancora tutto da vedere.