Un tempo la dinastia Agnelli era ritenuta come l’ultima “casa reale” italiana, per il potere che derivava dalle attività che il gruppo possedeva in Italia. Poi Gianni Agnelli disse “la festa è finita”: era il giugno del 1990 e già si vedevano le prime avvisaglie della crisi dell’auto che gravi lutti avrebbero addotto ai principali produttori occidentali. Dal 53% di quota di mercato in Italia (e circa il 35% in Europa), il gruppo scivolò attorno al 10% su entrambi i mercati nel giro di un decennio, per poi calare ancora, prima di “azzeccare” l’acquisto della moribonda Chrysler e risalire, a fine giugno scorso, al 28,7% in Italia e al 6,5% in Europa.
Nel frattempo, però, il gruppo ha cambiato fisionomia, separando le attività industriali (ora raggruppate sotto Cnh Industrial), facendo confluire quelle editoriali (Itedi) nel gruppo L'Espresso, controllato dalla famiglia De Benedetti, riallocando forza lavoro (in Italia erano impiegati in tutto a fine 2015 meno di 85.500 dipendenti su oltre 302 mila complessivi) e, dulcis in fundo, della sua residenza fiscale, con Fca e Cnh Industrial che hanno residenza fiscale a Londra ed Exor, la holding di famiglia che controlla le sue società operative, che l’ha appena spostata in Olanda.
A questo punto viene da chiedersi se abbia ancora senso considerare il gruppo Agnelli un gruppo italiano: la risposta non può che essere “sempre meno”, se è vero che entro l’anno anche Magneti Marelli potrebbe cambiare bandiera. Secondo l’agenzia Bloomberg, infatti, Samsung Electronics sarebbe già in trattative avanzate per rilevare alcune o tutte le attività della controllata di Fca, in una transazione che potrebbe superare i 3 miliardi di dollari di controvalore e che sarebbe curata direttamente dal vice presidente del gruppo coreano, Lee Jae Yong, che del resto dal 2012 siede nel consiglio di amministrazione di Exor come consigliere indipendente.
Proprio in Exor, sempre più “salotto buono” del gruppo, potrebbero poi entrare a breve soci del calibro di Bill Gates e Jacob Rothschild che avrebbero già garantito la propria disponibilità a subentrare nel capitale rilevando le quote che proverranno dall’esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti contrari al trasloco dall’Italia all’Olanda della sede fiscale (e legale) della holding a fine anno. Ma perché gli Agnelli fuggono dal “bel paese”? Perché per sopravvivere in un’economia globale ed in un settore sempre più maturo è necessario distribuire la produzione su tutti i principali mercati e ottimizzare il carico fiscale stabilendosi là dove le leggi consentono, alla luce del sole, di pagare meno tasse possibili.
Del resto in Olanda non esiste tassazione delle plusvalenze, che in Italia “grazie” alla funesta introduzione della Tobin Tax sono invece tassate al 5% e già questo è un “plus” non trascurabile per società come Exor che fa delle plusvalenze a lungo termine il proprio “core business”, mentre qualche dubbio in più rimane sulla convenienza a mantenere la sede fiscale a Londra per Fiat Chrysler Automobiles e Cnh Industrial una volta che la Brexit sarà operativa (ma la flessibilità della Gran Bretagna, anche in materia fiscale, potrebbe compensare i maggiori costi che dovessero emergere).
L’importante è semmai aver chiaro che ormai il gruppo Agnelli è un gruppo internazionale, tanto più che a fine anno lasceranno Torino anche la Giovanni Agnelli Sas, che controlla Exor,e la società semplice Dicembre, che consente agli eredi diretti dell’Avvocato di controllare l’accomandita. Non si potranno nè dovranno pertanto concedere favori più o meno “impropri” a un gruppo che dal prossimo anno sarà a tutti gli effetti equiparabile ai suoi competitor “stranieri” e che dunque è giusto combatta ad armi pari. Speriamo anche a Palazzo Chigi questo quadro sia ben chiaro.