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Opinioni

A chi serve far credere che l’Italia stia fallendo?

Siamo in crisi? Certamente, ma i numeri restano molto diversi da quelli che siamo abituati a sentir commentare. La liturgia dell’emergenza ha un suo senso, ma non è la soluzione migliore nè la più efficiente…
A cura di Luca Spoldi
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Quanta colpa hanno i media nella distorsione della percezione, in positivo o negativo, circa il reale andamento dell’economia? Me lo chiedo sempre più spesso quando mi trovo a rileggere alcuni numeri che mi fanno sorgere più dubbi che risposte, chiedendomi al tempo stesso a chi convenga questa percezione alterata della realtà. Prendete la crisi del debito sovrano europeo, di cui si è scritto di tutto e di più, con centinaia di ore di approfondimento in televisione e migliaia di articoli sul web di tutto il mondo. Ebbene, si è detto, giustamente, che coi tassi al 6% o più il debito pubblico italiano non è sostenibile e che l’Italia per questo rischia di fare la fine della Spagna, ovvero della Grecia.

Un’esagerazione allo stato attuale, se è vero che con l’odierna asta di Btp a 5 e 10 anni (per inciso andata piuttosto bene per il Tesoro italiano che ha dovuto pagare il 5,96% sul titolo decennale, dal precedente 6,19%, e il 5,29% sul quinquennale, il mese scorso collocato al 5,84%) il Tesoro italiano ha collocato il 66% degli importi in calendario per il 2012 e che il rendimento medio lordo offerto è risultato pari al 3,50%. Un tasso che non corrisponde al costo del debito pubblico, visto che sugli interessi maturati sui titoli di stato viene applicata un’imposta sostitutiva del 12,5%. In pratica, dunque, lo stato ha pagato al netto del prelievo fiscale (che riporta parte degli esborsi nelle sue casse) poco più del 3,06%. Curiosamente si noti come attorno al 3,5% sta da mesi oscillano l’inflazione italiana, come dire che anche senza considerare lo “storno fiscale” allo stato italiano per ora non è virtualmente costato nulla, in termini reali, rifinanziare il proprio debito pubblico.

Che la situazione possa o meno essere sostenibile è ovviamente materia di discussione ma tant’è, finora non c’è realmente stato di che strapparsi i capelli, con buona pace degli annunci da “fine del mondo” che si sono ripetuti più volte in questi primi sette mesi dell’anno e che hanno contribuito a far accettare all’opinione pubblica una “cura Monti” che ricalca i diktat tedeschi in tema di ristrutturazione dei conti pubblici. Ristrutturazione di per sé virtuosa e dunque da sostenere senza riserve, non fosse che è al tempo stesso assolutamente pro ciclica e dunque in questa fase fortemente recessiva.

Dunque viene da chiedersi che senso abbia avuto lanciare e proseguire per mesi la liturgia del “o le tasse o la vita” quando l’emergenza non esisteva (certo non per merito di chi ha portato l’Italia sull’orlo del baratro e poi ha fatto un “passo indietro”) e anzi vi sarebbe stato tempo e modo, volendolo fare (ma qui occorre chiedersi quale sia il reale interesse della casta politica presente in Parlamento e delle lobbies e clientele che essa rappresenta da anni a cambiare l’Italia in senso più trasparente, efficiente e meritocratico) per varare ben più incisive riforme in grado di ridurre i privilegi finora accordati ai grandi patrimoni rispetto al reddito da lavoro (o anche da impresa).

Per chi avesse dubbi sul fatto che, sia pure in uno scenari certamente sfidante e impegnativo, il rischio di un default italiano (o anche spagnolo) sia sempre rimasto sotto controllo, è utile notare come un report dell’agenzia di rating Moody’s (solitamente accusata dai complottisti nostrani di essere assieme a Standard & Poor’s e Fitch il “braccio armato” della “speculazione” finanziaria) ricordi proprio oggi come in questi ultimi anni su un totale di 110 stati che ricevono un rating sovrano da parte dell’agenzia da inizio 2011 a oggi solo la Grecia abbia dovuto dichiarare default, mentre l’anno prima era toccato alla Giamaica. Nel 2009 non vi erano stati default sovrani mentre a fine 2008 era toccato all’Ecuador.

Insomma: con 1966 miliardi di euro di debito pubblico è bene non abbassare la guardia e il governo Berlusconi (ma gli esecutivi di Centrosinistra che col “cavaliere” si sono alternati alla guida del paese negli ultimi 15 anni) è stata un’autentica iattura per l’Italia e si spera bene appartenga al passato, tuttavia continuare a dire che o accettiamo “obtorto collo” misure d’emergenza o falliremo è un falso ideologico. Qual è allora il problema di fondo dell’economia e della politica italiana? L’ho detto e ripetuto alla nausea ma posso ricordarlo ancora una volta: una burocrazia soffocante, una mancanza di visione per il futuro, il sistematico sottoutilizzo dei giovani e il sistematico sottosviluppo del Mezzogiorno, una tendenza marcata all’individualismo spinto che porta le nostre imprese a rimanere di taglia piccola o piccolissima in un mondo sempre più globale e competitivo dove uniti si combatte, separati si perde.

Il tutto condito da una sistematica carenza di credito o meglio da una sistematica distorsione nella sua allocazione efficiente con crediti erogati anche in misura superiore al dovuto agli “amici” e negato a imprese magari innovative ma non sufficientemente “stabilite” da essere già note e considerate affidabili. Se a tutto questo aggiungiamo che alcuni settori come la pubblica istruzione sono ormai allo sbando, nonostante proprio da loro dovrebbe passare la ricostruzione del paese, si capisce perché anche a Mario Monti in fondo possa essere andata bene questa liturgia dell’emergenza che sembra l’unico modo di far fare qualche faticoso passo in avanti al paese. Il che non significa che sia il modo migliore né più efficiente di gestire una trasformazione economica e sociale che potrebbe (e dovrebbe) essere di portata generazionale.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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