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Guerra in Ucraina

750mila persone stanno già morendo di fame, e la guerra in Ucraina non c’entra quasi nulla

Eugenio Dacrema, analista del World Food Programme: “Il conflitto in Ucraina è senza dubbio un fattore esacerbante della crisi alimentare, tuttavia i prezzi delle materie prime erano in salita in tutto il mondo anche prima dell’invasione russa”.
A cura di Davide Falcioni
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Le guerre, il cambiamento climatico, la pandemia e gli shock economici internazionali stanno spingendo milioni di persone in tutto il mondo alla miseria; 750mila di queste corrono il rischio imminente di fame e morte, e in assenza di soluzioni urgenti molte altre avranno giorno dopo giorni maggiori difficoltà nell'accesso al cibo. È quanto emerge dal rapporto Hunger Hotspots – FAO-WFP early warnings on acute food insecurity – pubblicato la scorsa settimana dal World Food Programme e dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. Il report traccia un ritratto estremamente preoccupante della situazione internazionale. Il conflitto in Ucraina ha infatti esacerbato il già costante aumento dei prezzi del cibo e dell'energia in tutto il pianeta, fattori che stanno già impattando sulla stabilità economica di tutte le regioni. Gli effetti della crisi sono particolarmente gravi laddove l'instabilità economica e l'impennata dei prezzi si combinano con il calo della produzione alimentare dovuto a shock climatici come siccità ricorrenti, inondazioni e guerre. "È una tempesta perfetta che non solo danneggerà i più poveri tra i poveri, ma travolgerà anche milioni di famiglie che fino ad ora sono riuscite a barcamenarsi", ha commentato David Beasley, Direttore Esecutivo del WFP. Fanpage.it ha approfondito il tema con Eugenio Dacrema, Early Warning Economic Risk Analyst del World Food Programme.

Secondo l'ultimo report del World Food Programme (WFP) in Etiopia, Nigeria, Sud Sudan, Yemen, Afghanistan e Somalia 750.000 persone rischiano fame e morte. Quali sono, ad oggi, le condizioni materiali di queste popolazioni?

Una premessa importante: il WFP ha determinato cinque livelli convenzionali di food insecurity – il terzo, quarto e quinto dei quali descrivono un'insicurezza alimentare conclamata. Il livello più basso, ovvero il terzo, è quello in cui una famiglia nell'arco di una settimana è costretta a saltare almeno due pasti. Il quarto livello è quello di "severa insicurezza alimentare", e si verifica quando non si mangia nulla per almeno due giorni su sette. Il quinto livello è quello catastrofico, nel quale è concreto il rischio di morire di fame. Questo è quello che sta avvenendo oggi in Etiopia, Nigeria, Sud Sudan, Yemen, Afghanistan e Somalia.

Perché le popolazioni di questi Paesi non hanno accesso al cibo?

Le cause possono essere principalmente due: in alcuni casi il cibo c'è, ma è troppo poco per fronteggiare la richiesta della popolazione. In altri casi, invece, non si ha accesso in alcun modo ai beni alimentari primari perché, ad esempio, si è in fuga da una guerra o ci si trova in una zona sotto assedio in cui i rifornimenti non arrivano. Quest'ultimo, in particolare, è il caso di Sud Sudan, Afghanistan e Yemen. Quello che sta accadendo in Somalia, Etiopia e gran parte del Corno d'Africa  è invece diverso: qui infatti si è verificato uno shock climatico senza precedenti e siamo al quarto anno consecutivo di siccità. I contadini sono stati costretti ad abbandonare i loro campi e villaggi alla ricerca di cibo.

Quali sono le cause principali di questa catastrofe? E quanto conta la guerra in Ucraina?

Il conflitto in Ucraina è senza dubbio un fattore esacerbante della crisi alimentare, tuttavia i prezzi delle materie prime erano in salita in tutto il mondo anche prima dell'invasione russa. La differenza rispetto al passato è che alcuni Paesi possono permettersi di pagare, altri invece no: mi riferisco soprattutto quelli che erano molto fragili anche prima dello scoppio della guerra, i più colpiti da conflitti e shock climatici come quelli di cui abbiamo parlato pocanzi. Naturalmente qui il conflitto sta aggravando la situazione: le nazioni più deboli e dipendenti dalle importazioni provenienti dal Mar Nero sono stati i primi a soffrire, ma stiamo assistendo a un peggioramento anche in Stati che non hanno mai avuto problemi di accesso al cibo, quelli a reddito medio-basso.

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Perché?

I quadri macroeconomici sono stati molto deteriorati dalla pandemia: molti Paesi negli ultimi due anni si sono indebitati sensibilmente per riuscire a sostenere le popolazioni colpite dai lockdown. Alcuni – come Tunisia, Sri Lanka ed Egitto – hanno perso fette importanti di introiti in valuta forte provenienti dal turismo e nel frattempo i prezzi di materie prime ed energia sono aumentati; a farne le spese sono stati soprattutto gli Stati importatori netti. A tutto ciò si aggiunga l'aumento dell'inflazione e dei tassi d'interesse imposti da alcune banche centrali, come la Fed. Tutto ciò sta facendo sì che anche Paesi a reddito medio o basso vivano oggi una condizione di insicurezza alimentare preoccupante che potrebbe colpire milioni di persone: mi riferisco in particolare a Sri Lanka, Tunisia, Pakistan, Kenya e molti altri. Confesso che a una situazione del genere eravamo impreparati anche noi del World Food Programme.

Quanto pesa la speculazione finanziaria sull'aumento dei prezzi di cibo?

Possono essersi innescati dei meccanismi speculativi a livello locale, ma dal punto di vista internazionale ritengo che la situazione sia più complessa e assisteremo a delle fluttuazioni: la speculazione fu sicuramente molto potente nella crisi del 2008, mentre oggi l'aumento dei prezzi del cibo e delle altre materia prime è determinato da "fondamentali economici" reali, più che da manovre speculative. Insomma, la situazione è molto critica a prescindere dalle attività degli speculatori finanziari…

Come si esce da questa crisi alimentare? Quali sono le soluzioni a breve e lungo termine?

A breve termine è necessario offrire incentivi ai Paesi che esportano materie prime alimentari affinché non si chiudano al commercio internazionale e non applichino restrizioni alle esportazioni: penso che ciò vada fatto a livello multilaterale, su spinta delle nazioni più ricche e avanzate. Non va inoltre dimenticato che non c'è solo la crisi alimentare in Ucraina, dove abbiamo aperto i nostri uffici e stanno arrivando importanti finanziamenti: esistono decine di altre situazioni in cui l'accesso al cibo è compromesso, ma che non godono della stessa attenzione e non ricevono di conseguenza gli aiuti di cui avrebbero urgente bisogno. Per quanto riguarda le soluzioni strutturali a lungo termine vanno creati meccanismi sistematici che favoriscano il mantenimento dell'apertura dei mercati internazionali quando i prezzi degli alimenti, come in questo caso, iniziano a salire e la tentazione di molti Paesi sarebbe quella di chiudere le esportazioni.

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