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Mercati incerti, non piace il braccio di ferro Germania-Francia

Monti presenta il suo programma ma dai mercati giunge solo un debole applauso. Gli investitori continuano a temere il contagio di Spagna e Francia se la Germania non accetterè una super Bce.
A cura di Luca Spoldi
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Varato il governo Monti, l’applauso dei mercati è scattato solo parzialmente: il tasso sul Btp decennale è ridisceso al 6,84%, lo spread Btp-Bund si è ridotto al 4,94% (riducendo ancora la distanza rispetto allo spread tra titoli spagnoli e tedeschi, oggi sceso al 4,59% dopo aver sfiorato il 5% in mattinata), ma Piazza Affari ha perso oltre l'1%, in linea con l'andamento dei principali listini azionari europei. Dovete del resto capire i miei ex colleghi che gestiscono qualche centinaia di miliardi di euro: sono troppo presi a capire come andrà a finire un tiro alla fune sempre più pericoloso tra la Germania da una parte, custode dell’ortodossia monetaria (e quindi guai a parlare in sua presenza di inflazione come possibile “scappatoia” per bruciare un po’ di debito) non meno che severo censore dei “periferici” scialacquatori e scansafatiche del Sud Europa, e un numero sempre crescente di paesi europei dall’altra, per potersi lasciare andare a premature scene di entusiasmo per questo o quel "tecnico". Finché in difficoltà sono stati pesi leggeri come Irlanda, Grecia e Portogallo la Germania ha trovato l’appoggio convinto della Francia e quello quanto meno di facciata di Italia e Spagna, cui interessava poter dire “noi non siamo come loro, noi ne usciremo meglio di loro”.

Ma da quando l’Italia è stata percepita come una mina vagante, la Spagna e la Francia pure sono risucchiate nel vortice, il Belgio, l’Austria e la Finlandia non se la passano bene (come non se la passa bene la Gran Bretagna, nonostante sia rimasta legata alla sterlina e non abbia voluto aver nulla a che spartire col “perfido” euro), la granitica convinzione della Germania che i sistemi economici dei suoi alleati (o sudditi?) europei terranno e dunque non sono necessarie ulteriori misure come la trasformazione della Bce in una Federal Reserve europea capace di diventare prestatore di ultima istanza (e dunque assumersi i rischi legati ai debiti fatti da altri, orrore!), o l’emissione di Eurobond comunitari sembra ai suoi partner comunitari, anche quelli che nel frattempo hanno fatto diligentemente i compiti come Irlanda e Portogallo (e come si apprestano a fare Spagna, Italia e Grecia), per non dire alla Francia (che vorrebbe poter evitare di seguire troppo da vicino gli esempi di cui sopra), sempre più segno di cocciutaggine e di scarso acume politico ed economico più che rigore morale.

Anche perché, e lo ha fatto notare un politico solitamente prudente come il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker, la Gemania ha in effetti un debito superiore a quello della Spagna, che ormai deve offrire tassi vicino al 7% sui propri decennali per trovare sottoscrittori, non differentemente da quanto capita all’Italia (e di questo passo da quanto potrebbe capitare alla stessa Francia, ormai in odore di perdere una delle sue preziose tre stelle del rating sovrano). Nel frattempo la stessa Bce guidata da Mario Draghi continua a sostenere come può il suo ruolo di difensore dei mercati finanziari europei e dopo i massicci acquisti di Btp italiani ecco riprendere anche gli acquisti di Bonos spagnoli, una soluzione tampone che non durerà in eterno ma intanto consente alle banche europee (e sempre più americane, esposte nel complesso per 50 miliardi di euro verso i titoli di stato europei “a rischio” secondo i calcoli di Fitch Ratings) di vendere sul mercato quei titoli per i quali erano stati ammassati miliardi di Cds (Credit default swap, contratti per la copertura del rischio di fallimento dell’emittente) che al momento opportuno si sono rivelati carta straccia, visto che l’haircut del 50% sui titoli di stato greci verrà fatto passare “obtorto collo” come volontario e dunque non tale da generare un “default event”.

Nessun paracadute, insomma, e allora via alle vendite, con la Bce unica controparte in acquisto che, nota Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partner, “è ormai diventata il terzo maggiore fondo hedge del pianeta” potendosi indebitare con una leva allo 0,50% (pari alla remunerazione offerta per i depositi che le banche europee detengono presso Eurotower) per detenere titoli che rendono il 7,30%. Un 7,30% che “sarà pagato dai contribuenti italiani” aggiunge Fugnoli, mentre “l’utile dell’operazione conseguito dalla Bce verrà distribuito in tutta Europa, Germania inclusa”, il che probabilmente ad Angela Merkel non dispiace affatto. Sempre che non salti tutto e non si vada a un “default pilotato” dell’Italia potrebbe dire qualcuno: l’ipotesi è alquanto remota, almeno per quello che potrebbero essere gli effetti sulla Bce. Già nel caso della Grecia, infatti, i titoli detenuti dalla banca centrale europea non sono stati compresi negli accordi per la “tosatura” della metà del capitale che si cerca di fare sottoscrivere alle banche private.

E siccome tali accordi valgono nel loro complesso non più di 200 miliardi di euro, pari a poco più del 10% del debito pubblico italiano, è alquanto improbabile che a qualcuno venga in mente di perdere definitivamente la fiducia degli investitori privati per così poco e mentre una quota crescente del debito stesso (che alla fine di settembre era ancora per circa il 42% in mano a investitori esteri, per il 58% sostanzialmente in mano alle banche e assicurazioni italiane) si sta accumulando nei forzieri della Bce (alcuni calcoli indicano vicino al 5%-6% la percentuale di titoli di stato italiani che già ora Eurotower detiene). Mentre è possibile, forse persino probabile, che singoli emittenti privati, banche o aziende che siano, proporranno ristrutturazioni sui propri bond, ormai tutti molto distanti da quota 100.

Per qualche mese, mentre in Italia Monti sarà impegnato in un programma ambizioso rispetto all’immobilità del passato e che finalmente torna a incentrarsi su tre pilastri fondamentali per qualsiasi politica economica (crescita, equità e rigore della spesa pubblica), gli spread resteranno a livelli di guardia e i rendimenti ben distanti da quelli che sarebbe necessario vedere per sperare in una crescita robusta e in una manovra correttiva lieve. La sensazione è però che l’euro rimarrà in piedi, pur continuando a indebolirsi (anche per dare uno sfogo, tramite le esportazioni, alle industrie europee), le borse del vecchio continente resteranno autentici campi minati, come pure i mercati obbligazionari (con possibili nuove sorprese negative come quelle emerse dai bilanci di UniCredit e Finmeccanica e nuovi downgrade dei rating societari e sovrani), mentre l’azionario americano e ancor di più i T-bond resteranno (insieme ai Bund) il porto sicuro verso cui tutti si dirigono per cercare riparo alla tempesta.Con la possibilità di qualche sorpresa positiva dai mercati emergenti, destinati a crescere sempre più d’importanza tanto in campo economico quanto politico.

Dopo di che la scelta su se, quando e come investire rimane una questione strettamente legata al vostro profilo di rischio e alle vostre esigenze, tenuto conto che i provvedimenti già preannunciati da Monti (reintroduzione dell’Ici sulla prima casa e riordino della previdenza pubblica, ma anche un riequilibrio della tassazione da lavoro e imprese a consumi e proprietà, una riforma degli ammortizzatori sociali e una revisione della disciplina delle libere professioni) potranno incidere in modo molto differente sul reddito e sul patrimonio di ciascuno.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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