Ecco perché la Russia non cederà mai l’Ucraina
La Russia non abbandonerà mai l'Ucraina al suo destino, ma lotterà in tutti i modi per il suo ritorno nell'orbita dei paesi alleati. La cacciata da Kiev di Viktor Fedorovič Yanukovič, ex presidente ucraino fedelissimo di Mosca e considerato personaggio corrotto e inefficiente, ha rappresentato l'inizio dell'ultima ostilità in territorio europeo. Una guerra che per ora sta insanguinando solo – per modo di dire –, il sudest del paese slavo, ma che ben presto potrebbe allargarsi ad altre realtà dell'area. Gli eventi che hanno portato alla capitolazione del governo di Yanukovič e all'instaurazione del governo ultra nazionalista di Kiev, hanno sconquassato gli equilibri politici, economici, militari e strategici eurasiatici.
La rapida e violenta defenestrazione dell'ex alleato del Cremlino, l'ingresso prepotente degli alleati di Washington nelle gerarchie politiche ucraine, la totale inversione di tendenza delle politiche nazionali imposte dal governo di Petro Poroschenko, hanno rappresentato non solo l'indiretta dichiarazione di guerra a Mosca da parte dell'occidente, ma hanno portato il conflitto in termini militari sulla soglia di casa di Vladimir Vladimirovič Putin. Dopo gli eventi di piazza Maidan, luogo della capitale dove è iniziato il colpo di stato anti Yanukovič, e l'immediato supporto della Casa Bianca Usa e dell'Ue agli insorti, sono scoppiate le ostilità tra il nuovo governo Ucraino e la Russia.
Il primo terreno di scontro è stato la Crimea, dove ha sede il quartier generale della flotta russa del Mar Nero. A poche ore dal cambio di colore dell'amministrazione di Kiev la penisola, con l'indispensabile supporto russo, è insorta dichiarando l'indipendenza unilaterale dall'Ucraina e l'annessione alla Russia (con tanto di referendum) che ha posizionato in poche ore uomini e mezzi impedendo ogni realistica reazione da parte del governo filo nazionalista di Kiev o dei suoi nuovi alleati. Quanto avvenuto in Crimea ha dimostrato che la Russia, come già avvenuto in Ossezia del Sud (formalmente Georgia, ma di fatto area a maggioranza russofona), ha il potere militare e politico per imporre il proprio dominio sui territori che ritiene di proprio interesse, a prescindere dalle appartenenze nazionali formali. In entrambi i casi la comunità internazionale non ha potuto fare altro se non riconoscere quanto avvenuto e, successivamente, condannare politicamente ed economicamente (attraverso le sanzioni) il comportamento russo. Un po' poco, si dirà, per contrastare un atto all'apparenza autoritario e non contemplato dal diritto internazionale.
Quanto avvenuto in Crimea e Ossezia del Sud in precedenza, costituisce il precedente per quanto ora sta avvenendo nella regione del Donbass, dove le milizie Novorusse filomoscovite stanno combattendo e sconfiggendo l'esercito regolare di Kiev. Le vittorie militari dei separatisti filorussi, certamente supportati da Mosca, si inseriscono nel quadro drammatico di violenze inaudite che hanno insanguinato la zona e che, secondo gli ultimi resoconti dell'Onu, hanno registrato più di 2.500 vittime. Questa volta, a differenza dei due casi precedenti, le truppe moscovite non sono formalmente presenti sul terreno di scontro. Ma il supporto dei miliziani del Donbass da parte del Cremlino è evidente, così come la volontà da parte di Mosca di continuare l'opera di riconquista di una parte consistente dell'Ucraina.
È necessario sottolineare che il paese è sempre stato diviso, quasi equamente, tra filorussi – nella parte orientale – e filoeuropeisti (in passato si poteva anche dire filotedeschi) – nella parte occidentale – per motivazioni geografiche, culturali e familiari. Già nella prima metà del ‘900 la cosiddetta questione ucraina, detto per sommi capi, infiammò l'area registrando conflitti fratricidi e guerre civili. Oggi la situazione è mutata davvero poco e l'ingresso sul campo di battaglia delle potenze occidentali, soprattutto quella nordamericana, rappresenta solo l'ultima evoluzione di un movimento centrifugo che tende a disgregare il paese da sempre. Oltre all'orgoglio russo legato alla gestione di quello che viene considerato il “proprio orto”, ci sono anche questioni economiche fortissime. L'Ucraina è sempre stata – fino alla comparsa sulla scena politica nazionale di Yulia Timoschenko – il principale paese di transito delle merci russe verso l'Europa centro-orientale e soprattutto per i rifornimenti energetici provenienti dagli immensi giacimenti siberiani. La perdita della stabilità in Ucraina ha comportato per Mosca gravi conseguenze economiche, come ad esempio la necessità di bypassare il paese e costruire due gasdotti separati (i North e South Stream) per rifornire il bacino europeo o la diminuzione dei commerci con i paesi dell'area Eu (nonostante le frizioni politiche, ancora oggi molti paesi dell'ex Patto di Varsavia dipendono ancora dalle importazioni russe,come Romania, Bulgaria e Polonia).
La volontà di destabilizzare l'Ucraina per impegnare Mosca in un conflitto interno (e magari far distrarre il Cremlino da altri scenari operativi come quello mediorientale) sembra al momento aver raggiunto come unico risultato quello di dividere politicamente, socialmente ed economicamente i il territorio di Kiev. È difficile dire se il pantano politico e militare ucraino verrà esteso a tutto il paese, pantano che per molti versi inizia a ricordare quanto avvenuto in Iraq dopo l'invasione anglo-americana soprattutto per quanto riguarda il caos generato nel paese durante e dopo l'intervento militare. Quello che sembra certo è che Mosca non arretrerà di un passo, ma anzi proseguirà verso la creazione di uno stato cuscinetto figlio della secessione da Kiev.
Il Cremlino può contare anche su altre tre carte: dal punto di vista militare è più preparato non solo di Kiev, ma anche degli stessi Stati Uniti, a gestire scenari operativi turbolenti come potrebbe essere quello Novorusso (si pensi da una parte all'esperienza decennale russa nell'area ciscaucasica e a quella nordamericana in Mesopotamia); dal punto di vista economico il governo di Putin ha di recente siglato numerosi accordi bilaterali con la Cina, sia per quanto riguarda il comparto energetico che quello commerciale, ma Putin ha anche accelerato intese economiche del Bricsa (ovvero: Brasile, Russia, Cina, India, Sud Africa e Argentina), del Latinoameria e dell'Asia, accordi che permetteranno a Mosca di incamerare ingenti risorse economiche necessarie per tutte le operazioni militari del caso; dal punto di vista politico l'Europa è in grande affanno. I paesi dell'Unione sono ancora alle prese con una situazione economica pesante e il peggioramento dei rapporti con l'ex alleato moscovita, come ha affermato nelle scorse ore il ministro Federica Mogherini, non fanno altro che acuire il momento di difficoltà. L'Europa, a differenza degli Usa, è largamente dipendente dalle fonti energetiche russe e commercialmente legata a doppio filo con l'economia della Moscova (si pensi sia a Berlino che Roma). L'imposizione delle sanzioni, volute dalla Casa Bianca americana, potrebbero a lungo andare lasciare il passo a considerazioni di Real Politik relative agli interessi europei oggi estremamente danneggiati dall'indurimento dei rapporti con il Cremlino. Questo, in altri termini potrebbe comportare in tempi brevi un cambiamento sostanziale, più che formale, dell'approccio di Bruxelles verso la questione Ucraina, lasciando maggiore mano libera al governo Putin di riconquistare, magari solo politicamente o commercialmente, quanto perso negli ultimi mesi per garantire una maggiore stabilità in seno ai paesi dell'Unione.