E per Breivik è pronta una cella nel carcere più bello del mondo
La dignità prima di tutto. Se la prigione di Halden avesse bisogno di pubblicità per trovare inquilini, forse il claim scelto sarebbe questo. Proprio qui, in questa gabbia dorata, che da quando è stata consegnata (aprile 2010) si è guadagnata l'appellativo di "prigione più bella del mondo" potrebbe finire Anders Behring Breivik. L'estremista cattolico autore dell'attentato nel centro di Oslo e della strage dei giovani laburisti riuniti sull'isola di Utoya, che con fredda naturalezza ha definito il massacro "un gesto necessario" potrebbe finire in questo carcere di massima sicurezza ed estrema umanità. Insomma, sembrerebbe che quello che la gran parte del mondo chiama "lusso", per i norvegesi, forse il popolo emblema della civiltà europea, significhi semplicemente garantire i diritti della persona. O meglio, la lussuosa prigione di Halden, costata 15 milioni di sterline e 10 anni di lavoro, sarebbe uno dei molteplici espedienti utili, secondo i norvegesi, ad abbassare il tasso di criminalità del Paese.
Chi ha ideato il carcere di Haden, infatti, crede che a fare le spese di una reclusione "in cattività" siano non soltanto i pregiudicati, ma l'intera comunità. Per questo, l'architetto Hans Henrik Hoilund detto Holden ha cercato il più possibile di rendere l'ambiente molto simile al mondo esterno, evitando, ad esempio, le costruzioni in cemento. Ecco alcune caratteristiche della prigione di Halden:
- le celle, o stanze, sono tutte dotate di bagno interno, tv con schermo piatto e frigobar;
- all'interno della struttura c'è una palestra, una parete per l'arrampicata, una sala di registrazione e una biblioteca;
- alcuni detenuti condividono un salotto, altri hanno accesso illimitato a Internet e possono fruire di lettori dvd.
Nel carcere, che può ospitare fino a 252 detenuti, le guardie carcerarie sono per metà donne: l'ennesima scelta ragionata, dicono, per diminuire il livello di aggressività dei detenuti. Quelli con le guardie non sono contatti sporadici e formali: guardie e detenuti, infatti, vivono in convivialità, condividendo pasti e allenamenti in palestra. Non mancano, dulcis in fundo, delle stanze per le visite coniugali dove il coniuge del detenuto può fermarsi e trascorrere la notte. Infine, per quanto riguarda gli esterni, le mura di cinta del carcere sono state decorate con le opere di artisti di strada. Sono muri alti ma nonostante ciò, grazie alla distanza, lo sguardo riesce a valicarli e a spingersi oltre, nel bosco.
Quella del carcere "di lusso" potrebbe sembrare l'ennesima stranezza del sistema penale norvegese, già sotto la lente d'ingrandimento in quanto prevede un massimo di 21 anni di reclusione. Una condizione contestata anche in patria ma che il premier Jens Stoltenberg ha commentato così "più democrazia, più apertura, più umanità, ma senza ingenuità".
Per popoli dove il sangue scorre caldo nelle vene e dove la sete di giustizia fa venire la bava alla bocca, comprendere la scelta della Norvegia è impresa ardua. Non sembra possibile garantire il benessere a chi, dal canto suo, ha generato morte, distruzione e sofferenza. E' quello che si direbbe un'ingiustizia. Sarà che forse l'errore è ab origine: siamo persuasi del fatto che la reclusione debba anziché rieducare e reinserire nella società, punire, per questo in occasione di arresti clamorosi non è raro percepire (senza troppa fatica, a dire il vero) sentimenti di soddisfazione ed esultanza. Ebbene, noi gente sanguigna d'Europa e del mondo, dovremmo cominciare a comprendere che, al di là delle estremizzazioni di ogni sorta, poco distante da noi, c'è un'alternativa. Un'alternativa che fonda le sue basi nel rispetto e nella dignità del singolo. E non, appunto, sull'ingenuità.