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E’ morto Giorgio Bocca, il giornalismo italiano è in lutto

Nato a Cuneo il 28 agosto del 1920, Giorgio Bocca era uno dei decani del giornalismo italiano. Storica firma di Repubblica, partecipò alla Resistenza nelle brigate di Giustizia e libertà. La notizia della morte è stata data dalla casa editrice Feltrinelli.
A cura di Biagio Chiariello
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E morto Giorgio Bocca il giornalismo italiano in lutto

Giorgio Bocca si è spento nel giorno di Natale all'età di 91 anni. L'annuncio è stato dato dalla casa editrice Feltrinelli, che afferma che il giornalista è morto nella sua casa di Milano dopo una breve malattia.

Voce della Resistenza, memoria storica italiana, Bocca era uno degli ultimi decani del giornalismo italiano. Dopo Enzo Biagi e Indro Montanelli, se ne va così uno un mostro sacro della stampa del nostro Paese.

La carriera di Giorgio Bocca

Bocca era nato a Cuneo il 28 agosto del 1920. Collaboratore dell'Espresso e di Repubblica, Bocca aveva preso parte alla Resistenza nelle brigate di Giustizia e libertà.  Durante la guerra si arruolò come allievo ufficiale alpino e dopo l'armistizio fu tra i fondatori delle formazioni partigiane di Giustizia e Libertà.

Tra i protagonisti dell' evoluzione del giornalismo italiano a partire dal primo dopoguerra, fu uno degli artefici dell'esperienza de Il Giorno, diretto da Italo Pietra. Negli anni Ottanta approda alle Reti Fininvest Per le reti Fininvest, dove promuove e conduce una serie di show giornalistici: "Prima pagina", "Protagonisti", "2000 e dintorni", "Il cittadino e il potere".

Al suo attivo, in una carriera di oltre 50 anni, si registrano tantissime pubblicazioni in un vasto arco di interessi che spazia dall’attualità politica e dall’analisi socioeconomica all’approfondimento storico e storiografico. Emblematica l'ultima: Fratelli Coltelli (1948-2010 L'Italia che ho Conosciuto), del 2010, edita da Feltrinelli.

Critiche e controversie

Alcuni orientamenti politici e professionali di Giorgio Bocca sono quantomeno controversi. Ha fatto particolarmente discutere nella prima metà degli anni novanta, la sua adesione ad alcuni provvedimenti della nascente Lega Nord. Criticatissimo per le sue posizioni sul meridione d'Italia («Terre orrende»), a settembre descriveva Napoli come «un cimiciaio». Opinioni già ribadite nella sua "Napoli siamo noi" del 2006. Uno scritto in cui vengono descritti i napoletani dal punto di vista antropologico-culturale evidenziandone la loro "irrecuperabilità". E non salvava neanche Palermo:«Una volta mi trovavo nei pressi del palazzo di giustizia. C'era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie».

Fu poi tra i primi a individuare nel fenomeno Berlusconi «il segnale di un'involuzione politica più generale» col suo scritto Piccolo Cesare del 2002, dedicato al Cavaliere, che gli costò l'abbandono da parte di Mondadori, suo editore da oltre dieci anni, per passare a Feltrinelli.

In una delle sue interviste per il settimanale L’Espresso disse:

Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia. Sono passato per alcuni innamoramenti, la Resistenza, Mattei, il miracolo economico, il centro-sinistra. Non è che allora la politica fosse entusiasmante, però c’erano principi riconosciuti: i giudici fanno giustizia, gli imprenditori impresa. Invece mi trovo un paese in condominio con la mafia. E il successo di chi elogia i vizi.

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