Da martedì scorso 43 persone sono in mare aperto, a bordo della nave Sea Watch 3, che attualmente si trova al limite delle acque territoriali italiane. I volontari della ONG hanno messo in sicurezza le persone che erano a bordo di un natante in pessime condizioni, avvisando le autorità competenti della necessità di ottenere un place of safety in cui sbarcare. In maniera del tutto inaspettata, l’unica disponibilità giunta è stata quella della Libia. Il capitano della Sea Watch 3 ha deciso di non dirigersi verso le coste libiche, nella convinzione che la Libia non possa essere considerata un “porto sicuro” in cui riportare naufraghi, come del resto confermano l’UNHCR, l’OIM, la Commissione Europea e la quasi totalità delle istituzioni indipendenti. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini, di concerto con i ministri della Difesa Elisabetta Trenta e dei Trasporti Danilo Toninelli, ha firmato una direttiva che vieta il transito e l’ingresso della Sea Watch 3 in acque italiane. Uno degli elementi su cui il governo italiano ha costruito la sua linea è il decreto sicurezza bis che, tra le altre cose, regala ai prefetti la possibilità di procedere a confisca e sequestro di una nave senza il bisogno dell’intervento di un Tribunale. Malgrado gli appelli del mondo dell’associazionismo e delle organizzazioni umanitarie, di fatto, l’Italia sta impedendo a 43 naufraghi di chiedere protezione internazionale ed esercitare i loro diritti. Oggi addirittura Salvini chiede che i naufraghi arrivino fino in Olanda.
Ecco, che la situazione partenze / sbarchi / accoglienza sia oggettivamente molto complessa non è in discussione. Ma questo caso è "politicamente" di semplice lettura: il governo italiano ha alzato un muro nel Mediterraneo e sta tenendo in mare aperto per giorni e giorni 43 persone bisognose di aiuto. Violando i trattati internazionali e, con ogni probabilità, anche la stessa legge italiana (che, ovviamente, vieta i respingimenti e garantisce immediata assistenza ai minori in condizioni di vulnerabilità). È per questo che la posizione timida, impacciata, lenta, debole, imbelle del Partito Democratico fa ancora più rumore. E appare francamente incomprensibile, per un partito che ha o dovrebbe avere certi riferimenti politico – ideologici e soprattutto una chiara responsabilità nei confronti dei cittadini italiani. Fatte le dovute eccezioni (che ci sono, nonostante la fatica che stiano facendo per farsi sentire all'interno del partito), siamo di fronte a una situazione incomprensibile: il silenzio di fronte al sovvertimento dei valori non solo della "sinistra", ma della nostra stessa Carta Costituzionale e dei valori fondanti della nostra società.
Certo, ci sono fantasmi del passato con cui fare i conti. C'è l'eredità di Marco Minniti e delle sue politiche, che hanno aperto un'autostrada a Salvini e al governo dei "porti chiusi". C'è lo sdoganamento a sinistra dell'aiutiamoli a casa loro, di matrice renziana. Ci sono gli accordi con la Libia e il cedimento alla retorica dell'emergenza. C'è l'avallo alla logica della securizzazione, che ha fatto instillato paura e insicurezza anche negli elettori del PD. Errori macroscopici, forse fatali.
Ma non prendere una posizione chiara e netta neanche sul singolo caso specifico è allucinante. Che non ci sia mezza parola del segretario Zingaretti è poi addirittura incomprensibile. Perché poi, al di là della discussione sul collocamento politico – ideologico del PD (sempre più confuso), siamo in presenza delle più lampanti contraddizioni dell'alleanza di governo Lega – M5s, sia sul piano gestionale (gli sbarchi continuano in modo costante), che su quello comunicativo e "strategico" (con i 5 Stelle costretti a ingoiare qualunque schifezza arrivi dal Viminale).
Per la cronaca, il massimo che siamo riusciti a tirar fuori è questo: