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Draghi: la causa della crisi non è l’euro ma le mancate riforme

Draghi attacca: la crisi non è colpa dell’euro ma delle mancate riforme. Per far ripartire la crescita e garantire maggiore equità e coesione sociale serve più concorrenza, flessibilità del lavoro e meno burocrazia…
A cura di Luca Spoldi
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Semplici parole di circostanza, affettate, dovute all’occasione (il conferimento della laurea honoris causa da parte della Luiss di Roma), oppure una felpata critica all’operato degli ultimi governi italiani ed europei, che molto spesso hanno preferito piangere a causa della durezza della crisi ma si son ben guardati dal promuovere riforme radicali, per timore di ricadute elettorali negative? Secondo alcuni Mario Draghi, ex governatore della Banca d’Italia e attuale presidente della Banca centrale europea, quest’oggi ha parlato a Sparta perché Atene intendesse, specie se il suo nome tra un paio d’anni (o anche meno) dovesse tornare tra i “papabili” per la successione al due volte presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Sottolinea Draghi come da quasi vent’anni (di cui, aggiungo io, almeno 16 trascorsi privi di una qualsivoglia crescita economica reale in Italia) in Europa la disuguaglianza sociale sia andata crescendo costantemente, alla faccia di quei commentatori che agitando “indici di Gini” o altro provano a dirvi che non è vero, che i super-ricchi sempre più ricchi sono in realtà meno super-ricchi in Europa e in Italia che non altrove e comunque non così più super-ricchi di un tempo. E invece no, bacchetta il banchiere centrale: “da vent’anni è in atto una tendenza alla concentrazione dei redditi delle famiglie che penalizza i più deboli” e per questo servirebbe una “più equa partecipazione ai frutti della ricchezza nazionale”, perché l’eguaglianza, nota Draghi, incrementa la coesione sociale e consente di arrivare al successo economico.

Ma se pensate che una “lectio magistralis” serva solo a fare un excursus storico non conoscete la tempra dell’ex numero uno di Via Nazionale, capace di chiedere direttamente al nuovo governo italiano di trovare il modo di “mitigare” gli effetti recessivi del risanamento dei conti, privilegiando tagli “della spesa pubblica corrente e delle tasse”, perché alzarle le tasse non è proprio possibile: “la tassazione è già elevata, in qualunque confronto internazionale” avverte il banchiere. Di troppe tasse muore la crescita economica e con esse tende a crescere la disoccupazione, ricorda Draghi, che nota (ma farebbe bene a ricordarlo da Angela Merkel, prima promotrice di una repressione fiscale che da due anni sta amplificando gli effetti della recessione in tutta Europa, ormai anche nel Centro-Nord) come in particolare “quella giovanile” abbia ormai raggiunto in alcuni paesi (basti pensare, dico io, a Grecia, Spagna, o alla stessa Italia) livelli che “rischiano di innescare forme di protesta estreme e distruttive”.

Per evitare che il disagio sfoci in proteste violente secondo Draghi occorre dunque tornare a vedere “una crescita duratura” dell’economia del vecchio continente, anche grazie ad un miglioramento del mercato del credito per il quale il banchiere centrale (che già la scorsa settimana aveva accennato a come la Bce stessa stia ragionando su come favorire la riapertura del credito alla Pmi europee) sembra pensare a “interventi nazionali, peraltro già collaudati in alcuni paesi, con la partecipazione di governi, banche pubbliche e agenzie di sviluppo”. Per riuscire a riavviare la crescita sono tuttavia non più rinviabili riforme strutturali quali  “un’efficace promozione e tutela della concorrenza, un adeguato grado di flessibilità del mercato del lavoro che sia ben distribuito tra generazioni, una burocrazia pubblica che non sia di ostacolo alla crescita, un capitale umano adatto alle sfide poste dalla competizione globale, un ambiente migliore”.

Tutti “fronti su cui, malgrado progressi recenti, non poco resta ancora da fare, sia pure in misura diversa nei singoli paesi” conclude Draghi, secondo cui l’origine della crisi non sta nell’euro come taluni continuano a indicare erroneamente, anzi nella sua “straordinaria affermazione” che “ha nascosto per anni i rischi che venivano accumulandosi” dando l’illusione ai governi che non fosse necessario fare alcun genere di riforma. Una affermazione che non posso che condividere, pensando alle occasioni perse da almeno 15 anni in Italia per cercare di fare qualcosa di più che un’ordinaria manutenzione dell’apparato economico-normativo-fiscale che nelle poche occasioni in cui stata fatta è stata fatta passare per misure “straordinarie” quando in realtà erano spesso battaglie di retroguardia tenacemente combattute dalle mille lobbies in cui si divide l’Italia.

Lobbies il cui unico obiettivo è sempre stato (e resta tuttora) quello di tutelare le proprie esclusive rendite di posizione, ignorando quello che poteva essere il futuro. Del resto uomini che di fronte a sé non hanno che pochi anni o al più un decennio o due di vita non possono riuscire ad elaborare visioni del futuro e farsene promotori. Anche in questo caso la gerontocrazia italiana è riuscita finora a impedire ogni sviluppo del paese contrario ai propri interessi. Speriamo che finalmente qualcosa cambi, anche se inviterei tutti a non farsi soverchie illusioni al riguardo visti i toni da continua campagna elettorale che ancora caratterizzano lo scenario politico e il persistere di operazioni finanziarie finalizzate unicamente alla difesa degli interessi di pochi soci di maggioranza o di pochissimi top manager.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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