Il “bazooka” di Mario Draghi è pronto a sparare: da lunedì prossimo, 9 marzo, la Bce avvierà gli acquisti di bond sul mercato per 60 miliardi di euro al mese, escludendo i titoli greci (la Bce ha finora prestato ad Atene 100 miliardi di euro, il 68% del Pil greco, e in settimana ha ulteriormente aumentato i fondi alla banca centrale ellenica per fornire liquidità d’emergenza alle banche, portandoli a 68,8 miliardi), tuttora sotto il livello di “investment grade”, in attesa che Atene raggiunga un’intesa con la “troika” per uscire dall’attuale programma di aiuti, appena prorogato di 4 mesi (ma secondo alcuni entro luglio potrebbe trovarsi un accordo per un terzo “bailout” da ulteriori 40-50 miliardi di euro, più che per l’avvio dei rimborsi), e con limiti precisi all’acquisto di bond con rendimenti negativi come alcune emissioni a breve scadenza dei Bund tedeschi.
Draghi, in sostanza, acquisterà per lo più Btp italiani, Bonos spagnoli e Oat francesi, accontentandosi di tassi che al momento oscillano, per le emissioni a dieci anni, tra l’1,25% e lo 0,6% lordo annuo. Visto che la stessa Bce alzando le previsioni sulla crescita dell’Eurozona per il triennio 2015-2017 ha rivisto anche quelle dell’inflazione (ora attesa pari a zero quest’anno, all’1,5% il prossimo e all’ 1,8% nel 2017), il rischio che si assume Draghi è di investire i miliardi della Bce in titoli che renderanno poco o niente in termini reali, ovvero che registreranno un rendimento reale negativo (o una perdita in conto capitale, se dovessero essere venduti) entro pochi anni. Sempre che le stime siano corrette, cose che molti operatori ed economisti, tra cui Carlo Alberto Carnevale Maffè, mettono in dubbio perché la Bce (e le banche centrali in genere) non è che finora abbia brillato per le sue capacità previsive.
I più interessati alle mosse di Draghi sono, più che i piccoli investitori, banche e aziende del vecchio continente ed in particolare di Spagna e Italia. E’ evidente infatti che Draghi cercherà di utilizzare il programma di acquisto di bond per indirizzare flussi di capitali dal Nord al Sud Europa e cercare di riequilibrare le differenze tuttora macroscopiche esistenti: se il Pil di Eurolandia, come ha ricordato oggi Eurostat, è infatti cresciuto dell’0,9% in media lo scorso anno (e quello dell’intera Unione europea è salito dell’1,3%), in Italia nello stesso periodo è calato dello 0,5% mentre in Germania è salito dell’1,5%. Se Draghi acquisterà i titoli che gli servono dalle banche italiane e spagnole, potranno gli istituti tornare a erogare credito ad imprese e famiglie per sostenere investimenti e consumi e far ripartire, in modo più robusto ed equilibrato, la ripresa?
Non è così semplice purtroppo: il problema vero in Italia restano infatti i 350 miliardi di euro di crediti problematici esistenti nei bilanci delle banche a fine 2014, come ha ricordato negli scorsi giorni Roberto Nicastro, direttore generale di Unicredit. Di questi 43,3 miliardi sono “in pancia” a Mps, mentre da mesi Unicredit e Intesa Sanpaolo stanno lavorando con KKR e Alvarez & Marsal per un veicolo finanziario che sarebbe dovuto partire già alla fine del 2014 ed agirà da “bad bank” assorbendo parte degli 87 miliardi di crediti problematici di Unicredit (che nel frattempo ha ceduto al gruppo Fortress e a Prelios Uccmb e il relativo portafoglio di sofferenze pari a circa 2,4 miliardi) e dei 46 miliardi di Intesa Sanpaolo.
Insomma: solo queste tre banche stanno provando a cedere, privatamente o tramite l’intervento di un soggetto pubblico (con tutti i rischi e le difficoltà del caso, che si concentrano sulla corretta valutazione degli asset da cedere, ossia della possibilità di recuperare parte dei crediti ceduti), una quota consistente di 173 miliardi di npl, pari ad oltre la metà del totale a livello italiano, e finché non ci saranno riuscite (e sempre che l’economia dia segnali di ripresa, perché le banche non operano tipicamente come anticipatori della ripresa, ma con un certo ritardo, anche per ovvi motivi di prudenza) è arduo pensare che qualcosa possa davvero cambiare. Certo, segnali di ripresa se ne scorgono (ad esempio nell’erogazione di mutui), grazie ai continui stimoli della Bce.
Ma saranno necessarie probabilmente ancora aumenti di capitale (Mps e Banca Carige stanno per raddoppiare ancora una volta il capitale, la prima emettendo 3 miliardi di euro di nuovi azioni a fronte di una capitalizzazione di circa 2,9 miliardi, la seconda lanciando un aumento da 700 milioni a fronte di 742 milioni di capitalizzazione), passaggi di proprietà (in Mps il Tesoro sarà azionista al 4% dopo l’aumento, ma la borsa scommette nell’ingresso di qualche altro gruppo, italiano o straniero, anche prima dell’operazione, in Carige la famiglia Malacalza è appena diventata l’azionista di riferimento subentrando a Fondazione Carige) e ulteriori svalutazioni. La notte forse è alle spalle, ma siamo appena alle prime luci di un’alba che non si preannuncia particolarmente brillante: imprese e famiglie devono ancora incrociare le dita.