Alla fine a denti stretti anche gli analisti di Standard & Poor’s sono costretti ad ammetterlo: le due Ltro (quella di dicembre da 489 miliardi di euro e quella odierna da ulteriori 529,5 miliardi) lanciate dalla Bce di Mario Draghi “hanno fatto acquisire tempo alle banche dell’Eurozona (salite a 800 dalle 523 di dicembre a testimonianza che molti istituti faticano tuttora a reperire fondi sul mercato, ndr) per ripulire i propri bilanci” offrendo abbondante liquidità (oggi sono stati creati 400 miliardi di nuovi prestiti al netto dei rinnovi di linee preesistenti, il doppio che a dicembre) a tassi minimi (1% annuo fisso). E questo è certamente un bene perchè significa rallentare la pressione sul mercato del credito; tuttavia, aggiungono gli esperti statunitensi, queste operazioni “non hanno fino a questo momento offerto una cura per i sottostanti problemi del settore finanziario”.
Il che è probabilmente vero ma centra solo una parte del problema, quello dell’adeguatezza degli indici patrimoniali e della rischiosità del business che le banche europee sovraintendono, trascurando il rischio di un credit cruch che di fatto è già in atto da mesi nei paesi del Sud Europa, Italia compresa, come già mi trovai a commentare a dicembre dopo la prima Ltro. Il che è in parte inevitabile, visto che uno dei problemi alla base della crisi, accanto agli squilibri di bilancia dei pagamenti cresciuti a dismisura negli ultimi dieci anni tra i paesi “core” e i paesi “periferici” dell’Eurozona, è certamente l’eccesso di indebitamento privato (non pubblico, come invece vuole la retorica “virtuosa” tedesca cui si accodano numerosi commentatori anche in Italia e che plaude all’ulteriore inasprimento fiscale tacendo della mancanza di solidarietà che dovrebbe, come invece ricordano vari analisti tra cui quelli di Bnp Paribas, accompagnare sempre e in particolare ora ogni richiesta di maggiore austerità). Ma potrebbe essere limitato se come promette l'Abi i fondi verranno questa volta indirizzati anche a imprese e famiglie.
Il che resta per ora un auspicio in attesa di conferme. Tra le poche cose che si possono affermare per ora è che quasi sicuramente una parte consistente dei fondi letteralmente “buttati dall’elicottero” da Draghi con l’operazione odierna sono finiti nelle casse delle maggiori banche italiane e spagnole (mentre la stessa Bce sembra aver ripreso subito il sostengo ai titoli di stato del Portogallo non appena sono scattate le prime prese di profitto a Ltro conclusa). Quali? In mattinata Goldman Sachs aveva parlato di Banesto, Banco Popolare, Mps e Ubi Banca come di istituti che avrebbero richiesto fondi “più che proporzionalmente” rispetto ai concorrenti. Nel corso della giornata i vertici di Intesa Sanpaolo hanno poi confermato di aver ottenuto 24 miliardi di euro da utilizzare almeno in parte per acquistare titoli di stato italiani con scadenza non superiore ai 3 anni in base ad “una una strategia di investimento profittevole” ossia per fare carry trade (sfruttare cioè la differenza tra il tasso pagato, l’1% appunto, e i tassi offerti dai titoli in cui si investe il denaro così preso a prestito, che al momento oscillano tra l’1,2% a sei mesi e il 2,92% a tre anni).
Importi “trascurabili” e comunque inferiori ai 12,5 miliardi di bond emessi da inizio anno (cui si aggiunge stasera una nuova emissione a 5 anni da 1,5 miliardi) per UniCredit, mentre rumors di mercato indicano attorno ai 6 miliardi i fondi ricevuti da Ubi Banca, tra i 7 e i 10 miliardi da Mps, attorno ai 3,5 miliardi da Mediobanca e Banco Popolare, per un conto che già così sfiorerebbe la sessantina di miliardi ma potrebbe alla fine rivelarsi anche più elevato.
Come verranno impiegati questi fondi (oltre che per ripagare debito in scadenza) è il vero interrogativo dalla cui soluzione, spiegano gli analisti, dipenderà anche l’evolversi della crisi economica europea. Se il carry trade è sicuramente utile alle banche per crearsi un ulteriore margine di manovra (allo stesso modo di alcune recenti operazioni di “liability management” cha hanno visto molte banche riacquistare, a sconto, bond subordinati emessi in precedenza emettendone di nuovi a migliori condizioni) questo modo di operare non risolve il problema di come far giungere il segnale di trasmissione alla fine della catena che dalla Bce, passando per le banche, dovrebbe arrivare all’economia reale.
Un problema parallelo a quello della pulizia dei conti pubblici e dei bilanci delle banche private che in qualche modo le grandi aziende riescono ad evitare grazie ai più solidi rapporti con gli istituti di credito ma che rischia di diventare drammatico per milioni di piccole imprese (che, vale la pena di ricordare, costituiscono l’ossatura non solo di economia come quella greca o portoghese, ma anche dell’economia italiana, dove lavorano per grandi imprese meno di un quarto dei lavoratori totali) che già debbono destreggiarsi tra un fisco che non concede sconti e un’amministrazione pubblica che paga con ritardo, oltre che tra continue giravolte della politica. Premier Monti, ministro Passera: conoscente per esperienza diretta sia il settore del credito sia il mondo produttivo italiano, cosa pensate di fare per uscire da questo cul du sac e riuscire a incentivare nuovi investimenti privati in Italia, possibilmente in settori ad alta intensità di innovazione e non in settori maturi e senza guardare troppo alla carta d’identità dell’imprenditore (il “patriottismo” in economia fa rima quasi sempre con “fregatura”) quanto piuttosto alla serietà e validità del suo progetto quando dovesse chiedere un sostegno pubblico? Sono curioso di saperlo e come me penso almeno altri 60 milioni di italiani.