Dopo l’Abruzzo, tocca alla Sardegna. Il centrodestra unito aumenta ovunque i propri consensi e pianta un’altra bandierina, stavolta con un esponente “locale”, lo storico segretario del Partito sardo d’azione, da poco convertitosi al verbo di Matteo Salvini e già premiato con un posto da senatore. Solinas, però, non è soltanto il nuovo governatore della Sardegna, è anche il simbolo più eclatante di una contraddizione che molti fingono di non vedere o almeno di non voler comprendere in pieno. Una contraddizione di cui la sua campagna elettorale è stata manifestazione perfetta: in settimana e “sul continente” fedele alleato dei 5 Stelle, nel week-end e sull’isola fiero avversario dei grillini e a braccetto con quelli che a Roma sono parte essenziale dell’opposizione parlamentare. Insomma, la dimostrazione plastica della politica dei due forni (forse tre, considerando le simpatie indipendentiste, che non si conciliano benissimo con il nazionalismo della Meloni o l’europeismo di Berlusconi).
Certo, anche in passato ci sono state esperienze di Governo tra formazioni distanti sul piano politico / ideologico e con alleanze diverse a livello locale (Renzi e Alfano, per dire…), ma qui siamo in presenza di un fatto nuovo. Una forza politica, la Lega, che è egemone anche in un campo "escluso" dall'alleanza di governo e che è strutturalmente, territorialmente e inesorabilmente alleata con due fra i principali partiti dell'opposizione parlamentare. E che, inoltre, nelle elezioni che riguardano tutti i livelli territoriali (comunale, regionale e anche provinciale, per quanto di secondo livello) è sempre sul fronte opposto rispetto all'unico alleato di governo. Insomma, o Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono in grado di teorizzare la perfetta separazione della politica nazionale da quella locale, come se ci fosse un livello schiettamente politico e uno meramente amministrativo (e qui peraltro potremmo aprire una discussione lunga e complessa), o qualcuno ci sta prendendo in giro.
Ipotesi concreta, in effetti, come testimoniano altri fattori.
Conosciamo la spiegazione del perché Salvini ha scelto di raccogliere la proposta di Di Maio e di formare il cosiddetto governo del cambiamento: non c’erano altre alternative a nuove elezioni che nessuno voleva. A distanza di quasi 12 mesi dalle politiche, però, bisognerebbe capire se la situazione è ancora la stessa. Perché i casi sono due: o quella di governo è una esperienza dettata da una situazione emergenziale, oppure Salvini e Di Maio si sentono di rivendicare una comune linea politica e amministrativa. Molti esponenti di Forza Italia e di Fratelli d'Italia avevano sottolineato, già dopo il test abruzzese, come nel Paese il "centrodestra unito" potesse essere già maggioranza, certo con il traino fondamentale di una Lega che i sondaggi danno oltre il 30%. L'alternativa al governo col Movimento 5 Stelle, ripetono da ieri i vari Tajani, Ravetto e Berlusconi, c'è e sembra poter ricevere il via libera dagli italiani. Salvini però continua ad assicurare di trovarsi bene al governo con Di Maio, il quale da parte sua continua a ripetersi che va tutto bene, quasi non si accorgesse della presa che l'alleato ha su quell'elettorato "governista" (ovvero di saldatura fra M5s e Lega), che sembra essere il vero ago della bilancia nelle consultazioni elettorali.
Che senso ha la linea del ministro dell'Interno? Davvero ritiene di poter essere con Di Maio nei giorni feriali (almeno quelli nei quali si lavora in Parlamento) e contro Di Maio nei giorni festivi (quelli dedicati alle iniziative sul territorio)? E per quanto a lungo?
Sono in molti a giurare che dopo le Europee il leader leghista comincerà a minare la stabilità del governo, per poi provocare una crisi con nuove elezioni in autunno. Come vi raccontavamo, l’incidente già è stato sfiorato su inceneritori, decreto sicurezza, delega fiscale e ddl anticorruzione, poi su TAP, TAV e soprattutto sul caso Diciotti, ma i tempi non potevano essere maturi per andare fino in fondo. Del resto, non avrebbe senso per Salvini far cadere un governo in cui ha una libertà di manovra quasi illimitata e nel pieno del processo di “svuotamento” dell’elettorato di Forza Italia e della destra moderata. E l'impressione è che Salvini voglia far durare questo periodo il più a lungo possibile, malgrado la tensione fra gli esponenti del Movimento e della Lega sia sempre più palpabile (come testimoniano i battibecchi nel corso degli speciali elettorali di queste settimane). La stabilità del governo Conte è in qualche modo una garanzia di tranquillità, oltre che un modo per provare a far convogliare sulla Lega i consensi dell'elettorato "governista", quello che si è formato in questi mesi dalla saldatura fra leghisti e grillini.
Ecco: "Occupazione degli spazi, sovrapposizione dei ruoli di ministro, leader politico e “capitano” della propria comunità, decisionismo spacciato per buonsenso e capacità unica di polarizzare: nonostante i compiti di governo, Salvini ha le mani libere per fare ciò che sa fare meglio, lavorare alla costruzione della propria immagine personale, cui legare le fortune elettorali della Lega. Finché può farlo, non c’è alcun problema per la tenuta del governo".
Conduce lui le danze, perché fermare la giostra ora?