L’Italia rischia di uscire dall’euro? A porsi la domanda è questa volta non un uomo politico italiano o estero, ma l’agenzia Bloomberg che prova a “leggere” l’andamento dei saldi di Target2 per anticipare un evento potenzialmente esplosivo come l’uscita del Bel Paese dalla moneta unica. Per capire se il rischio esista o meno occorre tuttavia capire di cosa si stia parlando.
Ogni mese la Banca d’Italia segnala l’andamento del sistema dei pagamenti Target2 (Trans-European Automated Real-Time Gross Settlement Express Transfer System – 2)registrando il saldo debitorio o creditizio nei confronti della Bce. Il sistema di cui sopra è di fatto un sistema di pagamenti interbancari paneuropeo in cui i partecipanti (le singole banche centrali dei paesi membri della Ue) riequilibrano gli squilibri della bilancia dei pagamenti tra di essi, dato che con l’adozione dell’euro e la fissità dei cambi non è più possibile per i singoli paesi ricorrere alle riserve di valuta estera per compensare il deficit di liquidità delle proprie banche centrali e coprire il saldo con l’estero.
Un esempio chiarirà gli eventuali ultimi dubbi: se un depositante decide di muovere 100 euro dall’Italia alla Germania (o viceversa), la Banca d’Italia segnerà la cifra tra le passività verso il sistema Target2, mentre la Bundesbank contabilizzerà la stesa cifra come un credito. La direzione e la grandezza dei flussi/deflussi di depositi da un paese verso gli altri dipendono da una serie di circostanza, ad esempio dal fatto che le banche decidano di prendere a prestito (o rimborsare) capitali dalla Bce, oppure dal fatto che le banche decidano di ridurre (o aumentare) il grado di leva finanziaria, oltre che naturalmente dal pagamento di merci e servizi da un paese all’altro.
Un improvviso e significativo incremento delle passività verso Target2 da parte di una banca centrale potrebbe essere indizio di una fuga di capitali ed è esattamente quello che gli analisti di Bloomberg sospettano, avendo notato che a fine settembre il passivo di Banca d’Italia verso Target2 era risalito a 354 miliardi di euro, 118 miliardi più di quanto non fosse un anno prima e 78 miliardi in più rispetto a fine maggio, prima del referendum britannico sulla Brexit. Mentre i capitali sembrano “fuggire” dall’Italia, in Germania tendono ad accumularsi sempre più: siamo arrivato sempre a fine settembre a 106,5 miliardi di crediti.
Sulle motivazioni di questo travaso i giudizi degli economisti divergono: c’è chi legge nei dati una sfiducia crescente sullo stato di salute delle banche italiane, che pure stanno pagando colpe pregresse che emergono con sempre maggiore evidenza per via dell’azione della Bce volta ad accelerare la pulizia dei bilanci delle principali banche sistemiche Ue più che per una condizione operativa che mostra invece graduali segni di miglioramento anche nel caso di istituti come Banca Carige o Mps, giudicati tra i più bisognosi di un ulteriore rafforzamento patrimoniale.
Altri parlano di una causa politica: Matteo Renzi ha legato il suo futuro politico all’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre, il cui esito favorevole appare tutt’altro che scontato. La caduta del governo Renzi potrebbe ringalluzzire le opposizioni più populiste che potrebbero essere tentate dal far ripartire una campagna anti-euro, cosa che ovviamente non può che preoccupare i detentori di depositi in Italia, visto che l’eventuale (per quanto futuribile) uscita dall’euro significherebbe un ritorno a una valuta nazionale più debole e quindi destinata a svalutarsi anche più di quanto non subito dalla sterlina in queste settimane dopo l’esito pro-Brexit del referendum.
Infine vi è chi con estrema chiarezza spiega: l’incremento della posizione debitoria verso il sistema Target2 dimostra come le risorse messe in campo dalla Bce tramite il programma di quantitative easing (oltre mille miliardi di titoli di stato già acquistati sul mercato finora, di cui il 18% finite in Btp italiani) non siano state utilizzate per migliorare i conti dell’Italia, ma siano rapidamente fuoriuscite dal paese. Questa è probabilmente la più corretta interpretazione, dato che mostra i limiti di una politica monetaria che per ridurre gli squilibri esistenti all’interno di Eurolandia avrebbe dovuto portare a flussi dal centro verso i paesi della periferia, mentre è avvenuto esattamente l’opposto.
Con un ulteriore, non voluto, risultato: che se i tassi sui titoli di stato di Spagna e Italia (e Francia) sono certamente calati grazie agli acquisti della Bce più che alle virtù dei governi e delle rispettive ricette economiche, i tassi sui titoli tedeschi (e del Nord Europa in genere) sono andati ancora più in giù, diventando in molti casi negativi, perché permane una modesta fiducia sul fatto che i governi dei “porcellini” del Sud Europa siano in grado di compiere il miracolo fin qui mai riuscito, ossia far ripartire l’economia senza ricorrere a nuovo debito.
Sfiducia probabilmente giustificata visto che anche nelle prime bozze dalla nuova legge di stabilità italiana più che riforme strutturali, efficientamenti e riduzioni di spesa, minore burocrazia si nota la tendenza a far salire ulteriormente il debito pubblico sperando che prima o poi il Prodotto interno lordo cresca più del costo del debito attraverso cui lo si sta tentando di far crescere da oltre due anni. Così i deflussi dall’Italia verso la Germania e altri paesi del Nord Europa se non possono essere considerati precursori di una “fuga dei depositi” bancari italiani come rischiarono di essere nel dicembre 2011, quando la posizione passiva crebbe sino a 197,4 miliardi, per poi sostanzialmente azzerarsi nel settembre dell’anno successivo in pieno “deleveraging”, di certo non sono un segnale di grande fiducia né di grande efficacia delle politiche finora attuate tanto dalla Bce quanto dagli ultimi tre governi italiani.