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Opinioni

Domenica la Germania vota, che succederà in Europa e in Italia?

Ci siamo: domenica 22 settembre la Germania rinnova il parlamento di Berlino. Un evento potenzialmente in grado di condizionare le prospettive economiche tedesche ed europee ma che alla fine potrebbe non mutare di molto lo scenario attuale…
A cura di Luca Spoldi
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Dopo il “non evento” della Federal Reserve, che in settimana non ha mutato (nonostante le attese in questo senso dei mercati) il proprio programma di acquisto di titoli obbligazionari sul mercato secondario che inietta 85 miliardi di dollari di liquidità ogni mese, anche le elezioni politiche tedesche di domenica, autentico “tormentone” da oltre un anno con cui si sono giustificati i pochi o nulla progressi fatti nel processo di creazione di un’unione bancaria e fiscale (e pertanto politica) europea, finiranno col produrre un “non evento”, ossia la pura e semplice riedizione dell’attuale governo Cdu/Csu-Spd guidato da Angela Merkel, che ha imposto all’Europa una “ricetta” fatta di repressione fiscale ma che non è riuscito ancora a far uscire dalla crisi i paesi dell’Europa del Sud, segnatamente Portogallo e Grecia (che rischiano secondo molti di dover avere ancora bisogno, l’anno venturo, di ulteriori aiuti comunitari, che però l’elettore medio tedesco non vuol manco sentire nominare)?

A giudicare dagli ultimi sondaggi e dai commenti degli analisti finanziari il rischio in effetti esiste: se Societe Generale già da qualche giorno ha sottolineato come “il consenso ritiene che la Cancelliera Merkel mostrerà una certa flessibilità, ma vorrà comunque vedere progressi su entrambi i temi dell’austerità e delle riforme” e come sia probabile che sul tema dei nuovi aiuti alla “periferia europea”, un compromesso “alla fine sarà raggiunto, ma (i nuovi aiuti comunitari) saranno resi disponibili con la consueta condizionalità” (insomma, la strategia non cambia: lacrime e sangue per i PIIGS del Sud Europa, tassi bassi anche se forse non più sui minimi storici per Bund e prestiti erogati dalle banche tedesche alle proprie imprese), gli uomini di Deutsche Asset & Wealth Management (la società di gestione di Deutsche Bank, principale istituto di credito tedesco) ammettono che le elezioni “potranno avere conseguenze economiche notevoli per la Germania e per l’Eurozona”, ma poi fanno capire di considerare possibili due sole alleanze: “la conferma dell’attuale coalizione Cdu/Csu e Fdp o la nascita di una nuova grande coalizione fra Cdu, Csu e Spd”.

Nel primo caso è lecito aspettarsiun impatto positivo sulla crescita” tedesca, dato che i programmi fiscali annunciati in campagna elettorale dai due partiti “dovrebbero stimolare i consumi. Se il piano fiscale della coalizione Cdu/Csu – Fdp dovesse attuarsi subito, ci aspettiamo una crescita reale innescata da un aumento dei consumi di 0,83-1,56 punti percentuali”. Al contrario, se fossero attuati i piani fiscali dell’Spd e Bündnis 90/Die rischiano di “deprimere la crescita economica, già nel breve termine”, causando in particolare “una depressione dei consumi privati​​” che, aggiungo io, non è il caso di augurarsi, perché in questo caso “mal comune” non produrrebbe “mezzo gaudio” ma un’ulteriore tegola sulla testa di quelle poche imprese italiane che riescono ancora, esportando anche in Germania, a far quadrare i conti nonostante la crisi, drammatica, della domanda interna legata al tentativo di ridurre contemporaneamente il debito pubblico e quello privato.

Insomma, tutto sommato è meglio per tutti se domenica non dovesse emergere dalle urne tedesche alcuna sorpresa, perché, ricordano ancora gli analisti di Societe Generale, una “Germania politicamente meno stabile non è lo scenario attualmente scontato dai mercati” ed un tale risultato sarebbe “una cattiva notizia per le prospettive di crescita future sia per la zona euro sia per la Germania”, che “ha urgente bisogno di riforme”. Nel frattempo in Italia, come ormai da mesi, tutto è fermo o quasi e si vive di rinvio in rinvio. Il governo, nonostante le stime elaborate dal Tesoro (che proiettano il deficit/Pil al 3,1% in caso di slittamento dell’aumento dell’Iva dal primo ottobre al primo gennaio, dopo che già l’Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli è stata cancellata per quanto riguarda la prima rata e congelata per quanto riguarda la seconda, salvo trovare adeguate copertura in sede di legge finanziaria), si affida agli annunci e annuncia un piano (“Destinazione Italia”) che dovrebbe attrarre nuovi investimenti dall’estero (ma intanto, come nota il blog Phastidio, sempre più aziende italiane si mettono in coda per trasferire le attività in Svizzera).

Le grandi società e le grandi banche, da Bpm a Telecom Italia, rinviano a loro volta consigli di amministrazioni e assemblee in vista di modifiche di governance o rafforzamenti patrimoniali che il mercato chiede da mesi se non da anni ma che sino all’ultimo i soci di controllo (e/o i sindacati) cercano di ritardare per quanto possibile. Certo, nulla resta mai veramente immutato e immutabile, come ho già raccontato, e ad esempio in campo bancario casi spinosi come Banche Marche (i cui sportelli piacciono a Banca popolare di Vicenza) o Banca popolare di Spoleto (che ha affidato a Lazard il compito di selezionare i “potenziali investitori nel capitale dell’istituto di credito umbro e della controllante Spoleto credito e Servizi (Scs)” sembrano prossime ad una soluzione. Ma siamo ancora lontani dall’introduzione di un nuovo modello di credito, ad esempio come quello che si potrebbe vedere in pochi anni in Spagna, dove a fronte di una “ritirata” delle banche di credito ordinario dalle esposizioni maggiormente a rischio cresce l’interesse (confermato ancora di recente) di compagnie di private equity come le statunitensi KKR e Apollo Global Management per ritagliarsi una quota di marcato nelle “special situation”.

Alla fine la sensazione è che se si continua a vivere di rinvii, di rinvii si morirà perdendo ancora una volta l’opportunità quanto meno di recuperare il terreno perso in questi anni (prima e purtroppo anche durante la crisi) nei confronti di partner europei come Spagna o Francia, per non parlare della Germania. Forse sarebbe utile tenerlo a mente la prossima volta che tenteranno di distogliere la vostra attenzione dai problemi reali del paese parlandovi di amenità come l’Imu, l’innalzamento di un punto percentuale dell’Iva, le “deviazioni politiche” della magistratura, il matrimonio di questa o quella subrettina o finanche il reddito di cittadinanza, le scie chimiche e la fame nel mondo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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