Il diritto all'attribuzione del bene in comunione ex art. 720 cc
Il diritto ad richiedere l'attribuzione del bene non divisibile è previsto nell'art. 720 cc il quale prevede che "Se nella comunione da dividere vi sono immobili non comodamente divisibili essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell'eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l'attribuzione".
Valutazione personale per l'esercizio del diritto a richiedere l'attribuzione
La richiesta di attribuzione del bene indivisibile è una scelta personale, che si basa sostanzialmente su due elementi, il primo, un presupposto giuridico, è quello dell'indivisibilità del bene, il secondo, è un presupposto personale (o discrezionale) e riguarda la possibilità di pagare il conguaglio (di avere un interesse ad avere l'intero bene).
Mentre, il secondo requisito può essere valutato e ponderato già all'inizio del procedimento di divisione, il primo presupposto, relativo all'indivisibilità del bene, potrebbe sorgere dopo l'inizio del procedimento giudiziale di divisione. In questa situazione occorre chiedersi se l'istanza di attribuzione può essere avanzata anche dopo l'inizio del procedimento di divisione, nel momento in cui si acquisisce l'elemento della indivisibilità.
Quindi, la questione di diritto investe il tema relativo alla tempestività dell'istanza di attribuzione di cui all'art. 720 c.c., in relazione alla possibilità che venga avanzata nel corso del giudizio, ove già non proposta dai condividenti al momento dell'iniziale costituzione in giudizio, ma, questo è solo un aspetto della questione, perché il tema che si riconnette all'ancor più generale problematica della compatibilità con il processo di divisione del regime delle preclusioni che attualmente connota il processo ordinario di cognizione.
Limiti all'esercizio del diritto di attribuzione
In modo più semplice occorre individuare i limiti dell'esercizio del diritto all'attribuzione, infatti, limiti troppo ampi potrebbero far pensare che l'istanza abbia intenti dilatori o sia usata per allontanare il momento della definizione del processo di divisione (si pensi al caso in cui disposta la vendita del bene non comodamente divisibile in primo grado, l'appellante, pur non contestando la conclusione circa la condizione di indivisibilità del bene, proponga appello adducendo unicamente il proprio interesse all'attribuzione, imponendo al giudice, ove si reputi tale istanza ammissibile, di dover sospendere le operazioni di vendita; oppure si potrebbe pensare alla parte che ha fatto richiesta di attribuzione, poi, successivamente, rinunzi all'attribuzione, non essendo prevista la sua irrevocabilità).
D'altro canto, limiti troppo ristretti, derivanti dalle preclusioni processuali applicate al giudizio di divisione non permetterebbero alle parti di adeguare le proprie scelte ad eventi successivi all'inizio del procedimento (basta pensare ad un'indivisibilità sancita dal ctu).
Istanza di attribuzione come domanda o come eccezione.
La soluzione non può essere trovata nella natura dell'istanza di attribuzione, infatti, questa può assumere i canoni di una autonoma domanda, in quanto l'istanza è finalizzata ad ottenere l'assegnazione del bene non comodamente divisibile, nell'ambito del già proposto giudizio di divisone, costituendo l'attribuzione dell'intero solo uno dei possibili esiti del giudizio, legato appunto alla condizione fattuale della infrazionabilità del bene in natura.
Come è possibile qualificare la medesima istanza come eccezione, ed in particolare si tratterebbe di un'eccezione, in quanto è un mezzo di opposizione alla domanda di vendita dell'immobile.
Incidenza delle preclusioni processuali sull'istanza di attribuzione
La qualificazione dell'istanza come domanda o eccezione non soddisfa le due esigenze alla base dell'intera questione (quella di evitare che l'istanza serva a dilatare il processo e quella che l'istanza possa dipendere anche da eventi sopravvenuti al momento dell'inizio del processo).
Proprio per questi motivi si è sempre tradizionalmente affermato che l'istanza di attribuzione poteva essere liberamente proposta anche in grado di appello (prima dell'introduzione del regime delle preclusioni processuali e dopo l'introduzione del regime delle preclusioni processuali).
Risulta evidente che, in questo modo, non si tiene conto delle preclusioni del processo civile e del principio generale che anche il procedimento di divisione è soggetto alla presclusioni previste dal codice di rito.
Le caratteristiche del procedimento divisorio – rappresentate dalla finalità che esso persegue, di porre fine alla comunione con riferimento all'intero patrimonio del de cuius, e dalla possibilità che esso si concluda, in luogo che con sentenza, con ordinanza che, sull'accordo delle parti, dichiari esecutivo il progetto divisionale – non sono di per sè sufficienti a giustificare deroghe alle preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il normale giudizio contenzioso.
Modifica del thema decidendum
L'unica strada per ammettere un'istanza di attribuzione anche dopo che sono maturate le preclusioni processuali e quella che l'istanza di attribuzione si correli ad una modificazione del thema decidendum, suscettibile potenzialmente anche di dover portare alla modifica del pur legittimo contenuto della sentenza impugnata.
Ora, se è vero che le preclusioni del processo si applicano anche nel giudizio di divisione, non è possibile non considerare che l'istanza di attribuzione dipende anche dalla specificità (e dalle vicende) del giudizio di divisione e soprattutto dall'incidenza che sul risultato della divisione possono avere le vicende soggettive che colpiscono i condividenti, ovvero quelle oggettive concernenti i beni coinvolti nel giudizio.
Si potrebbe pensare, ad esempio, al rilievo che possono avere eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote con il contestuale diritto delle parti del giudizio divisorio di mutare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione.
Inoltre, si potrebbe pensare che la divisibilità del bene potrebbe essere sicuramente influenzata da eventuali atti di cessioni di quote intervenuti tra i condividenti, essendo evidente che la concentrazione delle quote in capo ad un numero di soggetti minore di quello dei condividenti originari potrebbe far propendere per una divisione in natura che viceversa l'elevato numero originario degli aventi diritto non consentiva.
Ed, ancora, il sopravvenire di una disciplina urbanistica a carattere più restrittivo che vieti il frazionamento giuridico di determinati immobili, suscettibili invece di divisione in natura, ben potrebbe imporre ex post una valutazione di indivisibilità, sollecitando quindi le parti ad avvalersi della facoltà di cui all'art. 720 c.c. che l'inziale prospettazione della divisione in natura aveva reso inattuale.
Si pensi ancora al caso in cui, anche a seguito della riforma della sentenza di primo grado ad opera del giudice di appello, si pervenga alla rideterminazione della consistenza dell'asse ereditario, escludendo dal novero dei beni comuni, alcuni cespiti in quanto ritenuti di proprietà esclusiva di terzi ovvero di uno dei condividenti. La diversa composizione della massa è evidentemente un fattore idoneo ad incidere sula fattibilità della divisione in natura, e ben potrebbe, anche in questo caso sollecitare le parti a valutare se avvalersi della richiesta in esame, ala luce del manifestarsi delle condizioni previste dall'art. 720 c.c.
In tutte queste situazioni, il condividente ben potrebbe all'esordio della controversia pesare ad una divisibilità in natura, salvo poi ricredersi in conseguenza di altri eventi sopravvenuti.
Pretendere che l'istanza di attribuzione debba essere necessariamente già contenuta negli scritti introduttivi del giudizio di divisione, (solo al fine di assolvere agli oneri del sistema delle preclusioni processuali) oltre a trascurare la considerazione per la quale la richiesta appare necessariamente influenzata anche dalla valutazione economica del bene, occorrendo che la parte interessata possa valutare anche la convenienza economica dell'acquisto in via esclusiva della titolarità del cespite alla luce delle proprie condizioni economiche, esporrebbe il giudizio di divisione ad un'applicazione del tutto ingiustificata del cd. principio di eventualità.
Conclusioni
Può pertanto affermarsi il principio secondo cui, pur essendo il giudizio di divisione assoggettato al regime delle preclusioni di cui alla disciplina introdotta dal) legge n. 353 del 1990 ( e successive modifiche), l'istanza di attribuzione di cui all'art. 720 c.c., pur essendo a sua volta tendenzialmente sottoposta al regime delle preclusioni, può essere avanzata per la prima volta, ed anche in grado di appello, ogni volta che le vicende soggettive dei condividenti ovvero quelle che attengano alla consistenza oggettiva o qualitativa della massa, denotino l'insorgere di una situazione di non comoda divisibilità, al fine di prevenire l'esito della vendita, che resta in ogni caso l'extrema ratio voluta dal legislatore.
Cass., civ. sez. II, del 19 luglio 2016, n. 14756