Disordini a Genova, i No Tav contestano il procuratore Caselli
Il Procuratore Capo di Torino, Giancarlo Caselli, è stato fortemente contestato dai gruppi anarchici e dai No Tav durante la sua visita a Genova. Ingiurie, striscioni (“Caselli: Tav? Baciamo le mani. Liberi tutti subito”), scritte sui muri ("Caselli Boia"), e bombe carta nei vicoli del centro storico della città ligure dove il magistrato era stato invitato per presentare il suo libro "Assalto alla giustizia" a Palazzo Tursi, sede del Comune. Caselli, diventato nemico numero uno del movimento No Tav dopo gli arresti del 26 gennaio, nei giorni scorsi era stato costretto ad annullare impegni analoghi per motivi di ordine pubblico. Visti i precedenti, Genova si è preparata al suo arrivo: mezzi blindati, forze dell'ordine in borghese o in tenuta antisommossa. Fortunatamente non si sono verificati scontri. Tuttavia non sono mancati i lanci di bottiglie e fumogeni, vetri della Prefettura mandati in frantumi e un'auto danneggiata. La manifestazione si è sciolta soltanto in serata, quando anarchici e No Tav sono ritornati nel centro sociale Aut Aut.
Il procuratore capo di Torino si difende: «Sono anni che mi muovo e parlo in mezzo a gente che talora fischia e contesta, ma non ho mai visto iniziative organizzate come queste». E poi denuncia: «Sono preso di mira sistematicamente, vogliono impedirmi di parlare e questo non è degno di un paese civile». Secondo Caselli, una cosa è protestare, per quello che «la democrazia gli consente e quindi non c’è assolutamente nulla da dire, altra cosa è scrivere sui muri che chi fa il suo dovere è un torturatore e un boia: non è simpatico e non mi pare un granché democratico».
Caselli è accusato dai contestatori di voler criminalizzare il movimento No Tav dopo i recenti arresti per gli scontri dello scorso luglio in Val di Susa. Peraltro l'altro ieri il tribunale del riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione di due attivisti No Tav adducendo «una spiccata propensione a trasgredire comandi normativamente imposti dall'autorità». Quindi per i due il carcere è «il minimo presidio idoneo a fronteggiare le consistenti e impellenti esigenze cautelari».