I fatti sono più o meno questi: nella giornata di venerdì l’Istat pubblicava un report relativo ai dati della disoccupazione per il mese di ottobre 2014 (secondo tempistiche “tradizionali”); contemporaneamente il ministro del Lavoro diffondeva un comunicato stampa contenente “la prima indicazione” sulle comunicazioni obbligatorie sugli avviamenti e sulle cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato. Come hanno notato in molti, la tempistica del comunicato stampa del ministero del Lavoro era piuttosto sospetta, tanto da far pensare ad un tentativo di “bilanciare” l’ennesima mazzata dell’Istat.
In effetti, i dati sull’occupazione sono semplicemente (ed ancora una volta) drammatici: 55mila posti in meno, tasso di disoccupazione al 13,2%, disoccupazione giovanile al 43,3% in incremento di quasi il 2% su base annua (per una ricostruzione più precisa ed esaustiva si legga questo post di Marta Fana). Il comunicato del ministero del Lavoro invece si soffermava sulla creazione di 2milioni e 474mila nuovi posti di lavoro e sull’aumento (tra questi) del 7% di contratti a tempo indeterminato, suggerendo che si trattasse di un risultato raggiunto grazie alle misure contenute nel decreto Poletti. Chiaro il senso, no? Più o meno, come spiega perfettamente Pellizzari su LaVoce:
C’era davvero bisogno di pubblicare dati provvisori proprio in quel giorno (quelli definitivi arriveranno il 4 dicembre, ndr), confondendo le idee ai media e al pubblico meno avvezzo a districarsi tra le statistiche? Per esempio, il comunicato dice anche che a fronte dei 2 milioni e 474 mila nuovi contratti ci sono stati 2 milioni e 415 mila cessazioni di contratti, quindi con un leggero saldo positivo (sarà confermato nei dati definitivi?). Tuttavia, mentre si afferma che, tra i nuovi contratti, 400mila sono stati a tempo indeterminato, nulla si dice su quanti siano quelli di questo tipo tra le cessazioni.
Insomma, un tentativo, peraltro abbastanza ingenuo, di sviare l’attenzione su quello che è il primo dramma del Paese: la continua e costante diminuzione del numero di occupati (si legga anche il post di Ricolfi su La Stampa, in cui si nota come “la spiegazione secondo cui l’aumento sarebbe dovuto a una maggiore fiducia, che farebbe diminuire il numero di lavoratori scoraggiati[…] è incompatibile con i meccanismi attuali del mercato del lavoro italiano, che mostrano con molta nitidezza precisamente quel che suggerisce il senso comune: gli aumenti di disoccupazione dipendono dal peggioramento, e non dal miglioramento, delle condizioni del mercato del lavoro). Certo, nessuno sano di mente potrebbe attribuire all’attuale esecutivo la colpa di tale situazione, ma in questi casi sarebbe preferibile un po’ di sano realismo, piuttosto che il “lasciarsi trasportare dall’immaginazione”, dall’ottimismo, dalla fiducia e della speranza che ci viene propinato a dosi massicce. Non siamo in campagna elettorale, gli slogan stanno a zero. E, per ora, parlano i numeri: