Descrizione del problema
Durante la vita matrimoniale entrambi i coniugi sono obbligati a provvedere ai bisogni della famiglia, in base alle proprie sostanze e in base alle proprie capacità. Nella nozione legislative di famiglia rientrano i figli e l’altro coniuge.
Fonti normative dell'obbligo di assistenza o del mantenimento
In generale la fonte normativa di questi obblighi reciproci è l’art. 143 c.c., il quale ( rubricato con il titolo di “diritti e doveri reciproci dei coniugi”), afferma che “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale […..]. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
Fonti normative del mantenimento finito il matrimonio
Anche quando finisce il legame matrimoniale e, precisamente, dalla separazione (consensuale o meno) e dal divorzio possono derivare carico, di uno dei coniugi obblighi di mantenimento verso l'altro coniuge o verso i figli (minori o maggiorenni non autosufficienti).
Gli obblighi di mantenimento sono – generalmente – configurati come il versamento di una data somma di denaro.
Relativamente ai figli la fonte di questi obblighi si rinviene negli articoli 155 c.c. (rubricato con il titolo di “Provvedimenti riguardo ai figli”) il quale prevede che in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata il giudice che pronuncia la separazione personale adotta i provvedimenti relativi alla prole […..] fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli”.
Relativamente ai coniugi la base normativa di questi ulteriori obblighi si rinviene, quanto alla separazione, nell’art. 156 c.c. (rubricato con il titolo di “Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi”) il quale prevede che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi proprii”. Quanto, invece, al divorzio (scioglimento o cessazione effetti civili del matrimonio) gli obblighi di mantenimento trovano la loro fonte nell'art. 5 della legge del 1 dicembre 1970 n. 898 il quale prevede che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive [….].”
Perdita del diritto al mantenimento del coniuge
Al coniuge che ha violato gli obblighi nascenti dal matrimonio, la cui violazione ha prodotto la fine dell'unione coniugale, può essere addebitata la separazione (c.d. addebito della separazione), una delle conseguenze dell'addebito della separazione è data dal fatto che il coniuge al quale è addebitata la separazione non ha diritto al mantenimento. Il coniuge a cui è stata addebita la separazione conserva l'obbligo di mantenimento verso l'altro coniuge e verso i figli.
Quantificazione del mantenimento
Gli operatori giuridici che si occupano quotidianamente di separazioni e divorzi sono coscienti di quanto è difficile quantificare, in denaro, gli obblighi di mantenimento, del resto, gli stessi operatori sono coscienti che la maggior parte delle separazioni contenziose sono dovute alla difficoltà (oggettive e/o soggettive) di giungere ad una quantificazione, ecco il motivo per il quale la quantificazione è opera del giudice (quando manca un accordo sul quantum del mantenimento).
Variazioni e modifiche del mantenimento
Anche così i problemi non finiscono, perché anche quando si giunge alla definizione (bonaria o contenziosa) dell'assegno di mantenimento si possono verificare (dopo la separazione o il divorzio) degli eventi che influiscono sulle capacità economiche della persona obbligata al pagamento. Alcune volte l'influenza è positiva (nel senso che aumenta la capacità economica del soggetto obbligato al versamento) altre volte (la maggior parte) è negativa perchè le potenzialità economiche possono diminuire. Quando si verificano eventi negativi bisogna comprendere come deve comportarsi il coniuge (e/o genitore), quanto meno, per evitare problemi più complessi.
Il principio generale in materia di separazione e divorzio è quello secondo il quale le condizioni della separazione del divorzio possono essere sempre modificate quando al situazione concreta varia.
Altro principio generale in materia di separazione e divorzio è quello secondo il quale non sono ammissibili modifiche unilaterali, infatti la modifica delle condizioni di separazione e divorzio spettano solo al giudice, (in assenza del consenso di entrambi i coniugi e dell’omologate dal giudice).
È evidente che si tratta di due principi che devono essere coordinati tra loro che e sono uno il bilanciamento dell’altro.
Inadempimento del mantenimento
Fino a ora si è parlato di modifiche unilaterali, ma occorre anche valutare l’inadempimento ai patti e condizioni delle separazioni e divorzio e quali differenze sussistono tra le modifiche unilaterali e l’inadempimento alle condizioni di separazione e divorzio.
Analizzando la situazione ci si accorge che se in teoria è facile distinguere tra modifiche unilaterali e inadempimento, in pratica le due situazioni sono sovrapponibili potendosi distinguere solo in base alla “volontà” del soggetto agente e al comportamento materiale. Infatti, passando ad analizzare le varie situazioni che possono verificarsi, si nota che i motivi concreti che determinano il mancato rispetto o l’esigenza di modifica del mantenimento possono essere numerosi, basta pensare
- alla perdita del lavoro;
- all'ipotesi in cui il soggetto obbligato al pagamento contrae un nuovo matrimonio dal quale nascono altri figli, in tal caso si può trovare nell'imbarazzante condizione di dover versare il mantenimento ai figli di primo letto, ma di non poter mantenere, in modo adeguato, i figli di secondo letto;
- alla nuova convivenza del coniuge che ha diritto al mantenimento
- alla semplice ripicca personale.
Sanzioni all'inadempimento
La decisione di non rispettare i patti e le condizioni della separazione e del divorzio (indipendentemente se la fattispecie è qualificata giuridicamente come esigenza di modifica o come inadempimento) può essere cosciente e volontaria e priva di qualsiasi giustificazione concreta (come, ad esempio, un mero rifiuto dovuto ad una semplice ripicca verso l’altro coniuge). Altre volte la scelta è giustificata da eventi che o potrebbero essere riconosciuti come causa di estinzione (totale) o riduzione dell’obbligo di mantenimento. Altre volte può mancare una scelta consapevole (quando non ci sono alternative tra cui scegliere, come ad esempio, se si perde il lavoro)
A tutela degli obblighi di separazione e divorzio, (qualsiasi sia la qualificazione giuridica: esigenza di modifica o inadempimento) il legislatore pone una serie di norme penali.
L'art. 570 c.p.
La prima norma che tutela gli obblighi derivanti dalla separazione e dal divorzio è l’art. 570 del codice penale (rubricato con il titolo di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”) prevede che “Chiunque, [….] si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio [….]; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma. Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge”.
Leggendo l’art. 570 c.p. si nota subito che la norma del codice non distingue tra i diversi casi che possono verificarsi. In teoria è facile dire che per evitare di incorrere nel reato previsto dall'art. 570 codice penale, è opportuno non smettere di versare l'assegno, ma bisogna chiedere al giudice la revisione dell'assegno (156 comma 7 c.c.). In realtà, quanto detto è fattibile se le circostanze permettono di continuare a versare l'assegno, ma ci possono essere altre circostanze (indipendenti dalla volontà del soggetto obbligato) che materialmente gli possono impedire l’adempimento (adempimento che non viene messo in contestazione), come ad esempio, al eprdita del lavoro.
Per attenuare la posizione del coniuge obbligato (e, di fatto, per attenuare il disposto dell’art. 570 cp, o, quanto meno, per distinguere tra situazione e situazione) la giurisprudenza della Cassazione si è orientata delineando alcuni principi.
Ambito di applicabilità dell'art. 570 c.p.
Il primo principio è quello secondo il quale l’inadempimento, per essere penalmente rilevante, deve essere grave. La gravità dell’inadempimento è un concetto distinto dal problema relativo alla quantificazione giuridica dell’inadempimento come totale o parziale (Cass. pen. sez. VI del 2 luglio 2012 n. 25596), in particolare anche un inadempimento parziale può essere grave. Un inadempimento non grave (es. ritardo nei versamenti) non ha rilevanza ai sensi dell’art. 570 cp. Questo principio è basato sulla circostanza che l'articolo 570 c.p. richiama l'inadempimento civilistico, il quale presuppone un inadempimento grave (totale o parziale), ma non sanziona gli inadempimenti non gravi (come il mero ritardo nel pagamento).
Da quanto detto, discende che l’applicazione della norma penale non è automatica, ma occorrerà valutare caso per caso e distinguere se c’è la volontà (priva di giustificazione) di non adempiere o se sussistono altri motivi che hanno spinto il coniuge a non adempiere (Cass. pen. sez. VI del 9 novembre 2012, n. 43527)
Il ritardo nel versamento potrebbe anche derivare dall’accorpamento in un'unica rata (es. semestrale) di più rate mensili. In questa ipotesi è ovvio che il mancato versamento mensile degli importi è inadempimento (che potrebbe essere qualificato grave inadempimento o mero ritardo in base alla circostanze), però, l’accorpamento in un unico versamento di tanti versamenti mensili potrebbe non essere reato perseguibile ex art. 570 cp (Cass. penale sez. VI, del 28 agosto 2012 n. 33319).
Sempre nell’ottica di graduare e distinguere la diverse situazioni che si possono verificare occorre valutare se incorre nel reato di cui all’art. 570 cp il coniuge che, pur, non avendo disponibilità di versale la somma di denaro indicata nelle disposizioni di separazione e divorzio, continua ad adempiere ai propri obblighi, in modo diverso, fornendo generi di prima necessità (es. cibo, vesti) e non denaro contante. In una situazione di questo tipo, è evidente che se ci si appiglia solo al dato formale (obbligo di versamento di "tot" di denaro contante) l’inadempimento c’è, ma se si valuta il dato sostanziale (datione di generi di prima necessità) è evidente che la volontà del soggetto non è quella di contestare l’obbligo. Ecco, quindi, che non sarebbe condannabile il genitore che pur non versando l’assegno (per problemi economici) abbia provveduto ai bisogni dei figli, mentre sarebbe condannabile il genitore che non ha versa l’assegno e non ha preveduto in nessun altro modo dal mantenimento (Cass. pen. sez. VI del 5 novembre 2013 n. 44629).
Non esclude la responsabilità dell’inadempimento e il conseguente reato penale per il mancato versamento dell’assegno (dovuto dal padre alla figlia) il fatto che le condizioni economiche dell’altro coniuge (quello non obbligato al versamento) sono tali da escludere lo stato di bisogno del figlio, (sarebbe come dire che se uno dei due coniugi è miliardario l’altro può anche disinteressarsi del mantenimento del figlio), questo perché entrambi i genitori devono provvedere ai bisogni del figlio (in proporzione alle proprie sostanze e possibilità) e nessuno dei due può essere escludo da detto obbligo (Cass. pen. sez. VI del 4 marzo 2013 n. 10147).
Il lavoro saltuario (cameriere con contratto a tempo) potrebbe essere un elemento che impedisce la rilevanza penale dell'inadempimento "Sennonchè, dall'esame dei vaglia, riconosciuti dalla denunciante per ricevuti, risulta che, nel periodo contemplato dall'imputazione, solo sei mensilità su ventuno non furono pagate. Quindi l'inadempimento non ebbe l ‘elevata frequenza denunciata, che, ove si fosse realmente verificata, avrebbe senz'altro compromesso il sostentamento del minore al punto da realizzare la fattispecie penale contestata, ma fu saltuario, plausibilmente collegato al tipo di lavoro svolto dai soggetto obbligato (cameriere con contratto a tempo), e quindi tale da non configurare, quanto meno sotto il profilo psicologico, quella consapevole e volontaria sottrazione agli obblighi di somministrazione dei mezzi di sussistenza che costituisce il nucleo essenziale del delitto previsto dal secondo comma dell'articolo 570 c.p.." (Cass. pen. sez. VI, 28 agosto 2012 n. 33319).
Il licenziamento potrebbe non essere un elemento che esclude la responsabilità penale, infatti, il licenziamento volontario non è un motivo che può escludere la responsabilità (Cass. pen. sez. VI del 14 marzo 2014 n. 12308), così come anche un licenziamento "giusto2 potrebbe non essere sufficiente in presenza di un costante rifiuto di altre offerte di lavoro o in presenza nell'inerzia (assoluta) nel ricercare un lavoro (Cass. pen. sez. VI del 14 marzo 2014 n. 12308), se, poi, a questo sia aggiunge l'esiguità dell'importo del mantenimento, motivi per escludere la responsabilità non ci sono.
Inoltre, anche in presenza di una mancanza di lavoro, ma in presenza di altri redditi (non lavorativi) il genitore / marito deve sempre versare l'assegno. Per altri redditi si intende non solo le rendite in genere (come i canoni di locazioni o altre entrate patrimoniali), ma rientrano nel concetto di risorsa utilizzabile per versare l'assegno anche la semplice indennità di disoccupazione o il rimborso per le spese o l'attività di formazione. Da quanto detto, quindi, si deduce che la mera ristrettezza economica non è un elemento che elimina l'obbligo del versamento e il conseguente reato, anzi, solo la mancanza oggettiva e totale di entrate potrebbe essere una valida causa di giustificazione (Cass. pen. del 13 dicembre 2012 n. 48204).
Anche la reclusione potrebbe giustificare l'inadempimento agli obblighi di mantenimento, ma la reclusione deve essere assoluta e deve riguardare l'intero periodo per il quale si contesta il mancato adempimento degli obblighi. Se, al contrario, la reclusione è solo temporanea e nei periodi di libertà il soggetto si disinteressa del mantenimento del coniuge e dei figli, l'inadempimento non è giustificabile (Cass. pen. sez. VI, del 17 dicembre 2013 n. 50971).
La prova dell'inadempimento assoluto e non imputabile
Nelle ipotesi in cui è ipotizzabile un evento che permetterebbe all'obbligato di escludere la responsabilità penale, la prova dell'evento è a carico di colui che ritiene di non essere responsabile Cass. pen. sez. VI del 14 marzo 2014 n. 12308 "la Corte territoriale muovendo da due dati certi (l'inadempimento ascritto al ricorrente e lo stato di disoccupazione dello stesso), si pone in linea con l'orientamento di questa Corte in forza al quale la prova inerente la presenza di fatti assolutamente impeditivi rispetto all'obbligo di garantire i mezzi di sussistenza alla figlia minore gravava sul ricorrente. E non basta, al fine, una semplice difficoltà e neppure la documentata acquisizione dello stato di disoccupazione, potendo l'interessato provvedere ugualmente aliunde in forza di altre disponibilità finanziarie e patrimoniali, la cui insussistenza radicale va comprovata a cura ed onere della parti obbligata (cfr , tra le tante, recentemente Sez. 6, Sentenza n. 7372 del 29/01/2013 Ud. Rv. 254515). Ciò a maggior ragione quando, come nella specie, il peso posto a carico del M. era di assoluta modestia si da risultare in linea di principio compatibile anche con la assenza di, una siffatta fonte reddituale e da imporre nel ricorrente uno stato di indigenza assoluta utile a giustificare la violazione dell'obbligo di sostentamento riscontrato. La Corte, poi, evidenzia che le ragioni della disoccupazione erano determinate da una scelta volontaria del ricorrente, risultando privo di alcun specifico conforto sia il dato di fatto in forza al quale la detta scelta venne motivata dalla insolvenza del datore di lavoro sia quello dell'impegno mostrato nella ricerca di una nuova attività lavorativa. Ma a ben vedere siffatte considerazioni, coerenti o meno rispetto ai fatti accertati, non assumono toni di decisività a fronte del dato già conclamato siccome in precedenza rassegnato, utile a conclamare la responsabilità sottesa alla condanna".
Legge 8 febbraio 2006 n. 54 art. 3
Sostanzialmente questa era la situazione fino al 2006, perché l’8 febbraio 2006 è stata approvata la legge n. 54 dell’affidamento condiviso e nell’articolo 3 della medesima legge si prevede che “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12 sexies, l. 898/1970” a sua volta l’art. 12 sexies riporta all’art. 540 cp.
Si potrebbe pensare che nulla è cambiato, in realtà occorre valutare cosa è rimasto immutato, infatti, l’art. 3 della legge dell’8.2.2006 n. 54 si applica solo alle violazione degli obblighi riguardo ai figli (e non alle violazioni degli obblighi di mantenimento tra i due ex coniugi) Cass. pen. sez. VI del 27 settembre 2012, n. 37363 “art. 3 della legge 54, che è la norma cui fa formalmente e sostanzialmente riferimento il capo di imputazione, si applica solo ai provvedimenti relativi ai figli. Infatti, come già puntualizzato da questa Corte (Sez. 6, n. 36263 del 2011), gli obblighi di natura economica oggetto della tutela penale di cui alla legge 54 sono soltanto quelli regolamentati dalla stessa legge, e cioè gli obblighi posti a carico di un genitore nei confronti dei figli (minorenni e maggiorenni), con esclusione quindi di quelli posti a carico di un coniuge a favore dell’altro, che non sono stati oggetto di modifica da parte della L. n. 54 del 2006”
Il problema potrebbe non essere limitato solo ad una mera identificazione della fonte normativa alla base della sanzione penale, ma potrebbe essere molto più vasto, infatti, se l’interpretazione dell’art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54 dovesse sottolineare che tale articolo non più legato al principio della gravità dell’inadempimento ex codice civile, si avrebbe che qualsiasi mancato pagamento degli obblighi verso i figli, per qualsiasi motivo, per qualsiasi tempo, sarebbe sanzionabile penalmente, diversamente da quanto detto fino a ora.