Riassunzione della causa davanti al giudice compente
L'art. 50 cpc dispone che se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella ordinanza dal giudice e, in mancanza, in quello di tre mesi dalla comunicazione dell'ordinanza di regolamento o dell'ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice.
Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati, il processo si estingue.
Risulta evidente che l'art. 50 cpc preve
- che il termine di riassunzione può essere fissato nell'ordinanza dal giudice
- oppure se il giudice non esercita il tale potere discrezionale il termine è fissato dal legislatore in tre mesi dalla comunicazione dell'ordinanza di incompetenza
Come si è visto l'art. 50 cpc non indica un termine minimo e massimo quando il giudice decide di indicare nel provvedimento di incompetenza un termine per la riassunzione, quindi, resta da chiedersi se l'esercizio del potere discrezionale del giudice
- è così ampio da stabilire un qualsiasi termine
- oppure il potere discrezionale del giudice di indicare il termine è limitato dal legislatore ex art. 307 cpc secondo il quale quando la legge autorizza il giudice a fissare il termine, (come per la risassunzione derivante dalla declaratoria di incompetenza) questo non può essere inferiore ad un mese né superiore a tre, quindi, la discrezionalità del giudice è vincolata entro tale periodo. Di conseguenza deve essere stabilito cosa accade se il giudice fissa un termine minore o maggiore di quello legale.
Il giudice non può modificare il termine normativo per la riassunzione della causa.
Il giudice (soprattutto quanto esercita il potere discrezionale di stabile un termine) non può violare il termine previsto dalla legge per la riassunzione della causa 50 e 307 cpc, diversamente verrebbe ad incidersi sulla stessa valutazione compiuta dal Legislatore in attuazione al principio costituzionale di ragionevole durata del processo.
I poteri discrezionali attributi al Giudice nella direzione e svolgimento della attività processuale debbono rispondere allo schema normativo legale che li autorizza.
Se la norma attributiva del potere prevede condizioni e limiti di esercizio, il provvedimento del Giudice che ecceda da o comunque non rispetti tali condizioni o limiti è affetto da vizio di invalidità.
Nella specie l'art. 50 c.p.c. attribuisce al Giudice il potere di assegnare discrezionalmente il termine per la riassunzione della causa, a seguito di declaratoria di incompetenza.
La norma dell'art. 50, comma 1, c.p.c. non si sottrae alla disciplina generale, stabilita nell'art. 307, comma 3, c.p.c., del potere discrezionale di assegnazione del termine che le singole norme processuali vengono ad attribuire al Giudice, incontrando in ogni caso l'esercizio di detto potere il limite minimo "non inferiore al mese" ed il limite massimo "non superiore a tre mesi" stabilito dalla disciplina generale in funzione, sia delle esigenze e dei tempi tecnici di esercizio del diritto di difesa, sia dell'attuazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost. che viene a coniugarsi con la effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. e la efficienza della funzione giudiziaria ex artt. 97 e 101 Cost..
Invalidità del provvedimento che assegna un termine per la riassunzione della causa minore o maggiore di quelli legali (50 cpc e 307 cpc)
La invalidità del provvedimento che assegna un termine per la riassunzione della causa superiore a quello massimo previsto ex lege (o inferiore a quello minimo previsto dalla legge), non è un vizio sanabile o irrilevante, ma incide invece direttamente sull'esercizio del potere quale misura della competenza correlata al bilanciamento tra garanzia di effettività del diritto difesa della parte (intesa nel duplice senso di non rendere impossibile o particolarmente difficoltoso -a causa di termini eccessivamente ristretti- l'atto di riassunzione alla parte che intenda proseguire il giudizio, e di non incidere -a causa di termini eccessivamente lunghi- sulla effettività di tutela dei diritti della parte che ha ragione), e dunque viene a risolversi in un vizio di invalidità di natura sostanziale, insanabile in quanto in ogni caso lesivo del diritto di una delle parti processuali.
Invalidità degli atti successivi compiuti in forza di un provvedimento che assegna termini di riassunzione (minore o maggiori) di quelli legali (50 cpc e 307 cpc)
La nullità del provvedimento che assegna termini difformi da quelli legali, comunica la propria invalidità anche agli atti processuali successivamente compiuti che da esso derivano (art. 159 c.p.c.), dovendo al riguardo specificarsi che il nesso di derivazione rilevante attiene al solo presupposto temporale: ossia l'atto processuale conseguente è inidoneo a produrre gli effetti previsti dalla legge (nel caso di specie: la prosecuzione del giudizio) se compiuto avvalendosi in concreto del superamento del termine legale assentito dal provvedimento giudiziale (invalido).
La scelta del termine, tra i due limiti minimo e massimo, è riservata alla discrezionalità del Giudice che può anche rinunciare ad esercitare tale potere, rimanendo in tal caso fissato il termine perentorio stabilito dalla legge.
Principi a cui attenersi in presenza di termini per la riassunzione difformi da quelli legali
In base al combinato disposto dagli articoli 50 comma 1 e 307 comma 3 c.p.c. qualora la legge attribuisca al Giudice il potere discrezionale di assegnare alle parti termini perentori per il compimento di attività processuali, salvo espressa deroga disposta dalle singole disposizioni di legge, l'esercizio del potere da parte del Giudice deve conformarsi al rispetto de/limite imposto dai termini minimo –un mese- e massimo -tre mesi- previsti dalla norma generale di cui all'art. 307 comma 3 c.p.c.
Qualora il Giudice, con il provvedimento che dichiara la propria incompetenza, assegni alle parti, ai sensi dell'art. 50, comma 1, c.p.c., un termine per la riassunzione, rispettivamente, inferiore o superiore a quello minimo e massimo stabilito dall'art. 307, comma 3, c.p.c., il provvedimento deve ritenersi "tamquam non esser, in quanto improduttivo di effetti idonei a condizionare l'attività processuale delle parti.
Ne consegue che – analogamente alla ipotesi in cui il Giudice si sia astenuto dall'esercitare il potere discrezionale- trova applicazione sussidiaria esclusivamente il termine perentorio massimo previsto dalla norma di legge (fissato in tre mesi dalla comunicazione della decisione di incompetenza dall'art. 50, comma 1, in corrispondenza al termine massimo indicato dall'art. 307, comma 3, c.p.c.)."
Cass., civ. sez. III, del 24 aprile 2019, n. 11204