Principio della ragionevole durata del processo ed eccessiva durata del processo
Uno dei principi fondamentali di ogni Stato di diritto è quello di garantire processi che abbiano una durata ragionevole. In teoria il principio della ragionevole durata del processo ha due corollari (oppure, quanto meno, comprende due ipotesi): a) garantire procedimenti con una durata temporale certa (o non eccessivamente lunga), b) evitare interpretazioni o procedure che allungano inutilmente i tempi del procedimento.
Eccessiva durata del processo e risarcimento del danno
La violazione del principio dell'eccessiva durata del processo determina un danno alla parte processuale e il conseguente risarcimento del danno a favore di coloro che si trovano a far parte di un processo eccessivamente lungo.
Quanto alla descrizione del danno derivante dall'eccessiva durata del processo, si può dire che nei giudizi per equa riparazione, il danno non patrimoniale è in re ipsa e il danneggiato non ha altro onere che allegare e provare la durata del processo presupposto, competendo al Ministero la prova dell'insussistenza del pregiudizio. Quindi, in mancanza di prova contraria, il danno dove considerarsi sussistente e la domanda dove essere accolta.
Eccessiva durata del processo di cognizione e del processo esecutivo
In astratto il principio del diritto al risarcimento del danno per l'eccessiva durata del procedimento giudiziario si applica sia al procedimento di cognizione sia al procedimento esecutivo.
Occorre, però, valutare le diverse finalità dei due procedimenti (di cognizione ed esecutivo) incidono e influenzano (e in quale misura) sul diritto al risarcimento del danno da eccessiva durata del procedimento. Ad esempio, basterebbe osservare che mentre nel procedimento di cognizione i danneggiati dalla durata del procedimento possono essere sia l'attore, sia il convenuto, al contrario nel procedimento esecutivo il danneggiato dalle lungaggini dell'esecuzione forzata è solo il creditore procedente (che deve farsi pagare) e non il debitore esecutato (che deve pagare coattivamente non avendo adempiuto bonariamente).
Eccessiva durata del processo esecutivo e danno al debitore esecutato
La peculiarità della posizione del debitore all'interno dell'esecuzione forzata comporta che la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l'esecutato, poiché egli dall'esito del processo riceve, di norma, un danno giusto e non è necessariamente percosso dagli effetti negativi di un'esecuzione di durata irragionevole.
In altri termini, il risarcimento del danno derivante da una eccessiva durata del processo (anche esecutivo) è diretto a risarcire un danno ingiusto (la non definizione del procedimento in tempi brevi o certi), mentre il debitore esecutato non riceve un danno ingiusto dal protrarsi del procedimento esecutivo, ma riceve solo una dilazione del pagamento (ulteriore) dovuta alla lunghezza del procedimento esecutivo e, in ogni caso, al termine del procedura esecutiva paga solo quanto dovuto ab origine e non ha pagato spontaneamente, ma coattivamente.
L'esecuzione, inoltre, è preordinata all'esclusivo interesse del titolare del credito (che potrebbe anche non attivarla), sicché l'esecutato – a differenza del contumace nell'ambito di un processo dichiarativo – è soggetto (solo) al potere coattivo del creditore, recuperando la pienezza della posizione di parte processuale e un interesse alla definizione del procedimento (in tempi brevi o certi) solo nelle eventuali fasi d'opposizione ex artt. 615 e 617 cpc.
Occorre valutare se la posizione del debitore esecutato (all'interno del procedimento esecutivo) esclude sempre e comunque il diritto al risarcimento del danno per la durata dell'esecuzione forzata oppure se possono esistere altri elementi in presenza dei quali il debitore esecutato ha diritto al risarcimento del danno anche per l'eccessiva durata del procedimento esecutivo.
Prova dell'eventuale danno per la durata eccessiva del procedimento esecutivo a favore del debito esecutato
Il diritto al risarcimento del danno per l'eccessiva durata del procedimento esecutivo non può essere escluso in assoluto (solo qualità rivestita dal debitore nell'ambito dell'esecuzione forzata), ma possono esistere altre circostanze che legittimano il debitore esecutato ad avere il diritto al risarcimento del danno per l'eccessiva durata del procedimento esecutivo.
Il debitore esecutato può avere un interesse alla celere definizione della procedura esecutiva solo qualora abbia svolto un ruolo in qualche misura attivo (non inerte), non se abbia mantenuto una posizione di mera attesa della liquidazione dei beni pignorati.
Per ottenere l'attribuzione dell'indennizzo occorre, quindi, la prova che l'attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori siano lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l'ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente.
Se, invece, il debitore esecutato ha tenuto un atteggiamento inerte senza svolgere alcuna attività volta a ridurre i tempi di liquidazione dell'attivo e di soddisfacimento dei creditori (ad esempio anche causando allungamento dei tempi per aver proposto una richiesta di riduzione del pignoramento senza successivamente coltivarla o senza aver cooperato nell'individuazione catastale di taluni degli immobili staggiti, mostrando di non aver alcun interesse a che la procedura si esaurisse entro termini ragionevoli, conservando il possesso degli immobili oggetto dell'esecuzione, traendo un concreto vantaggio dai tempi con cui la procedura è definita).
Cass., civ. sez. II, del 30 gennaio 2019, n. 2711