Domanda di divisione e domanda di usucapione
Il legislatore riconosce ad ogni partecipate alla comunione il diritto di chiedere lo scioglimento della comunione stessa, i motivi sono tanti, eliminare una situazione difficilmente gestibile (la comunione), permettere ad ogni partecipante di poter godere e gestire (anche economicamente) della propria quota parte.
L'interesse alla scioglimento della comunione è di tutti i partecipanti e questo determina due effetti: a) il giudizio di divisione vede partecipare tutti i contitolari; b) «nel giudizio di scioglimento della comunione, la domanda di divisione di un determinato cespite, che sia stata proposta in primo grado da uno dei comproprietari, non può essere considerata come nuova in grado d'appello, ai sensi ed agli effetti dell'art 345 c.p.c., per il fatto che venga sollevata da altro condividente, atteso che configura un'articolazione dell'unitaria pretesa di divisione, comune a tutte le parti» (Cass. n. 6387/1980).
Nulla esclude che uno dei partecipanti alla comunione abbia usucapito un bene specifico (se la comunione è formata da più beni) oppure l'unico bene in comunione. Sorvolando sulle formalità necessarie ad usucapire un bene comune, occorre valutare l'eventuale comportamento dell'usucapiente rispetto una domanda di divisione, proposta dal medesimo usucapiente o dagli altri compartecipanti alla comunione.
Natura giuridica della domanda di divisione (accertamento dell'esistenza della comunione alias dei beni da dividere)
La domanda di scioglimento di una comunione contiene in sé, quale presupposto indeclinabile, la richiesta di accertamento, in caso di contestazione, dell'esistenza della comunione stessa (Cass. n. 12003/1992). La divisione, accertando i diritti delle parti nel presupposto di una comunione dei beni divisi, presuppone l'appartenenza dei beni alla comunione (Cass. n. 4828/1994; n. 27034/2006).
Di conseguenza, se non sorgono contestazioni sull'esistenza della comunione e sul diritto alla divisione, si procede alle operazioni divisionali. In caso contrario, in qualsiasi stadio della procedura, le contestazioni vanno risolte nelle forme del procedimento ordinario e definite con sentenza.
Costituisce tipicamente contestazione del diritto alla divisione, da risolvere con sentenza non definitiva, la deduzione con la quale uno dei condividenti neghi l'appartenenza alla massa di un singolo bene oggetto della domanda (cfr. Cass. n. 6960/1996).
L'usucapiente contitolare e la domanda di divisione
Se la domanda di divisione presuppone l'accertamento della comunione (altrimenti non si potrebbe procedere a divisione se non c'è comunione) risulta evidente che colui che ritiene di aver usucapito dei beni comuni non potrebbe chiedere lo scioglimento di una comunione che non esiste più (ad esempio se è stato usucapito l'unico bene presente nella comunione).
Coerentemente con tale impostazione è stato precisato che «il soggetto che vanti l'acquisto della proprietà di un bene immobile per usucapione non può, nel contempo, introdurre un giudizio per la divisione del bene stesso, poiché la relativa domanda si pone in termini di assoluta incompatibilità con l'originaria pretesa di usucapione» (Cass. n. 8815/1998).
L'usucapiente contitolare che omette di far valere l'usucapione nel processo di divisione
Resta da analizzare cosa accade se il partecipante alla comunione che ha usucapito omette di sollevare la relativa eccezione o domanda nel processo di divisione iniziato da altri.
Il compartecipe, il quale si ritenga proprietario per usucapione di un bene in comunione, non solo non può iniziare lui il giudizio di divisione, ma, se sia stato convenuto per la divisione giudiziale da uno o più degli altri compartecipi, non può tralasciare di far valere l'usucapione nel giudizio iniziato da altri.
In caso contrario, se egli non abbia contestato il diritto alla divisione di quel determinato cespite, lasciando che il giudizio seguisse il suo corso ordinario fino al provvedimento conclusivo, non può poi opporre l'usucapione al condividente al quale quella porzione sia stata assegnata, né tanto meno all'aggiudicatario qualora quella stessa porzione sia stata venduta agli incanti, «salvo che non possa impugnare la divisione contestandone il presupposto e deducendo un titolo di possesso diverso da ogni altro che possa derivargli dalla sciolta comunione» (Cass. n. 1901/1974).
Divisione, usucapione e contumace
Si ritiene di precisare infine che i principi di cui sopra, sulla natura e l'effetto della divisione nei rapporti fra compartecipi e loro aventi causa, non soffrono deroga nel caso che uno dei compartecipi sia rimasto contumace: il pregiudizio che ne deriva dipende esclusivamente dalla inattività della parte che, per libera determinazione, è rimasta contumace (cfr. Cass. n. 11523/1995).
Cass., civ. sez. II, del 13 giugno 2018, n. 15504