Spesso si sente parlare di risarcimento del danno per violazione del diritto alla privacy. Solo al fine di inquadrare meglio il caso analizzato dalla Cassazione è opportuno ricordare che il campo del diritto alla privacy o alla riservatezza è molto ampio spazia dalla classica foto scattata al Vip fino a giungere al trattamento dei dati o notizie personali.
La questione esaminata dalla Cassazione tratta di un aspetto particolare della "privacy" o "riservatezza", infatti riguarda un'ipotesi di illecito trattamento (illecita diffusione) di dati (notizie) personali. Solo al fine di fornire una base normativa più specifica è possibile ricordare che il Decreto Legislativo del 30 giugno 2003 n. 196 denominato "Codice in materia di protezione dei dati personali" ha regolato la materia.
Comunque, indipendentemente dal ramo o aspetto della privacy o della riservatezza che viene violato, difficilmente si spiega o ci si interroga su quali sono i presupposti per poter ottenere un risarcimento.
La sentenza della Cassazione del 2012 n. 8451 permette di far luce proprio su tale aspetto, è possibile dire che in primo luogo occorre che sia violata la privacy, intesa come diritto a non divulgare notizie relative ad un determinata persone a terzi estranei, o come nel caso esaminato dalla Cassazione (l'illecita divulgazione di dati parsonali relativi alla posizione debitoria – creditoria di un determinato soggetto), in particolare nel caso specifico una banca aveva inviato una missiva relativa all'esposizione finaziaria del debitore alla madre di quest'ultimo.
Il debitore (figlio) contesta alla banca l’illecito trattamento del suoi dati personali e la violazione del segreto bancario da parte Banca. E, ritenendo che in seguito a questo evento, la madre avuta contezza della esposizione debitoria del figlio, avesse deciso di non procedere più a delle donazioni, dunque, chiedeva alla banca il risarcimento del danno patrimoniale (quantificato nel valore patrimoniale dell'immobile non ricevuto dalla genitrice) e non patrimoniale.
Ora, in base alla normativa vigente per risarcire il danno non basta l'esistenza di un fatto (comunicazione illegittima) e la mera esistenza di un evento (revoca della donazione), ma è anche necessario che tra l'evento sia provocato da quel fatto, cioè è necessario che tra l'evento sia legato al fatto dal quello che in termini giuridici viene chiamato "nesso di causalità".
Quando manca il nesso di causalità o il rapporto di causalità (la cui prova dell'esistenza deve essere fornita da colui che ri ritiene danneggiato) non è possibile sostenere che un determinato evento discende e/o è prodotto da un determinato fatto, questo esclude che colui che subisce l'evento possa chiedere il risarcimento del danno all'autore del fatto.
Cassazione civ. sez. I del 28 maggio 2012 n.8451
Il tribunale ha osservato, sulla base di una valutazione attenta delle risultanze processuali, che in realta' la mancata stipulazione della donazione dell’appartamento da parte della madre del ricorrente in favore di questi non risultava provato che fosse dovuta alla comunicazione da parte della banca della situazione debitoria del figlio bensi' fosse attribuibile alla mancanza di convinzione della genitrice a stipulare l’atto risultante gia' in epoca antecedente alla comunicazione dei dati da parte della banca. In altri termini la sentenza impugnata ha rilevato la mancanza di prova da parte del ricorrente della esistenza di un nesso di causalita' tra la predetta comunicazione e la decisione della madre di non dar corso alla donazione dell’immobile. Tale argomentazione e' corretta in punto di diritto.
Va ricordato, che l’art. 15, comma primo, del d.lgs. n. 196 del 2003 espressamente stabilisce che ‘Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali e' tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile’. In applicazione dei criteri stabiliti dal citato articolo 2050 del codice civile in tema di responsabilita' per esercizio di attivita' pericolosa, questa Corte ha ripetutamente affermato che la presunzione di colpa a carico del danneggiante posta dall’art. 2050 cod. civ. presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico – la cui prova incombe al danneggiato – tra l’esercizio dell’attivita' e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilita' rispetto ad un evento che non e' ad esso in alcun modo riconducibile. Sotto il diverso profilo della colpa, incombe invece sull’esercente l’attivita' pericolosa l’onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire il danno (Cass.5080/06; Cass. 19449/08; Cass. 4792/01; Cass. 12307/98).
Le censure che il ricorrente muove a tale motivazione in punto di diritto non colgono nel segno. Nel caso di specie non rileva infatti l’inversione dell’onere della prova previsto dall’art. 2050 c.c., secondo cui chi cagiona un danno nell’esercizio di una attivita' pericolosa e' tenuto a risarcire i danni se non prova di avere adottato tutte le misure necessarie a risarcire il danno, poiche' non e' stato su tale elemento che il Tribunale ha fondato la propria decisione, ma, come detto, sulla mancanza di nesso di causalita' tra il comportamento illecito e l’evento dannoso, in relazione al quale non si rinviene alcuna esplicita censura in punto di diritto. Per lo stesso motivo e' del tutto priva di rilevanza la censura che si riferisce alla esistenza del danno in re ipsa, non essendosi anche in tal caso il Tribunale pronunciato in alcun modo sulla inesistenza del danno ne' sulla prova del suo ammontare.
Anche il secondo motivo, con cui si la ritenuta insussistenza del nesso di causalita' tra la comunicazione della banca e la mancata stipula della donazione, e' inammissibile. Il Tribunale, come gia' rilevato, ha ritenuto l’insussistenza del predetto nesso sulla base di una valutazione attenta delle risultanze processuali, In particolare, ha accertato la mancanza di convinzione della genitrice a stipulare l’atto risultante gia' in epoca antecedente alla comunicazione dei dati da parte della banca. A tale proposito il Tribunale ha acclarato, tramite la deposizione del commercialista della madre del ricorrente e la lettera inviata dal primo a quest’ultima in data 14.3.2006, che, a fronte della urgenza di stipulare l’atto prima delle elezioni politiche dell’aprile 2006, a seguito delle quali sarebbe stato prevedibile che le donazioni tra genitori e figli sarebbero state sottoposte nuovamente a tassazione, ed alla data gia' fissata per la stipula innanzi al notaio, la signora G. aveva ritenuto di non dar corso alla vicenda. Da tale circostanza ha desunto che quest’ultima non aveva maturato alcuna decisione in proposito onde non poteva ritenersi che la comunicazione della banca della situazione debitoria del figlio l’avesse dissuasa da una decisione ormai presa.
Trattasi di una valutazione in punto di fatto logicamente argomentata e basata su elementi obiettivi di giudizio acquisiti dall’attivita' istruttoria e come tale non censurabile in sede di legittimita'.Il ricorrente censura tale motivazione affermando che la stessa era basata su un esame parziale degli atti e che da una valutazione completa degli stessi, e, in particolare, delle lettere della signora G. del 6 settembre 2006 e del 18 agosto 2007 nonche' dalle sue stesse dichiarazioni, sarebbe emerso con tutta chiarezza che in realta' fu proprio la comunicazione della Banca a far cambiare idea alla signora G. Sul punto e' appena il caso di rammentare che l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni della parte, ne1 che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da questa svolte. È, infatti, sufficiente che il giudice dell’impugnazione esponga, anche in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della decisione e le ragioni del suo convincimento, cosi' da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni incompatibili con esse e disattesi, per implicito, i rilievi e le tesi i quali, se pure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la conclusione affermata e con l’iter argomentativo svolto per affermarla (Cass., n. 696 del 2002; n. 10569 del 2001; n. 13342 del 1999); e' cioe' sufficiente il riferimento alle ragioni in fatto ed in diritto ritenute idonee a giustificare la soluzione adottata, (Cass. n. 9670 del 2003; n. 2078 del 1998).
Nel caso di specie pertanto, il tribunale ha correttamente selezionato gli elementi ritenuti rilevanti ai fini del decidere ed in base ad essi ha argomentato la propria decisione. Le censure che il ricorrente propone a tale motivazione tendono in realta' a sollecitare, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimita', un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimita' non e' un giudizio di merito nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto gia' considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass.n, 12984 del 2006; Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Resta da dire della censura relativa al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale. Tale censura e' infondata e per certi versi inammissibile in base alle stesse argomentazioni espresse nell’esame del primo motivo del ricorso. È infatti evidente che, se non esiste il nesso di causalita' tra il fatto illecito e l’evento dannoso, tale circostanza vale sia in riferimento al danno patrimoniale che a quello non patrimoniale, come correttamente affermato dal tribunale. In tal senso le censure del ricorrente non colgono la citata ratio decidendi, limitandosi ad affermare la sussistenza di elementi comprovanti il danno non patrimoniale.