In tempo di crisi, è sempre accolta con favore ogni norma di legge che consente di aiutare o di agevolare i singoli cittadini, (o di proteggere il patrimonio familiare) il problema, semmai, è quello di valutare se si è in presenza di norme che effettivamente possono aiutare il singolo cittadino e se, soprattutto, tali norme avranno applicazione diffusa o solo marginale.
Rientra in questo tipo di norme la legge del 2 aprile 2015 n.44 che regola il c.d. prestito vitalizio ipotecario. Questo nuovo istituto consente ad alcuni cittadini di ottenere un prestito (garantito da ipoteca su un immobile) e al finanziatore di vendere l'immobile. E' opportuno analizzare le caratteristiche di questo nuovo istituto anche al fine di poterlo distinguere da altri contratti simili.
Possono ricevere tale prestito (e, quindi, possono stipulare questo tipo di contratto) coloro che hanno un'età superiore ai 60 anni (i 60 anni devono essere "compiuti", quindi, una persona di anni 59 e undici mesi non può stipulare questo tipo di contratto, a questo punto sarà interessante comprendere se si è in presenza di una ipotesi di incapacità giuridica, e, di conseguenza, se il contratto stipulato da un soggetto con un'età inferiore a 60 anni è nullo). La presenza di un limite di età, presuppone che a questo tipo di contratti possano accedere solo persone fisiche, ma non possono accedere persone giuridiche (riconosciute o non riconosciute, con scopo di lucro o meno) come società, associazioni ecc.
Soggetti che possono concedere tale prestito sono le banche nonché di intermediari finanziari, di cui all'articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385.
L'oggetto del contratto è un finanziamento, concesso da una banca (o da un intermediario finanziario abilitato) ad un privato. La peculiarità del contratto non risiede nel prevedere o regolare il "prestito", ma nelle modalità di restituzione, infatti, dalla legge possono essere desunte due modalità operative di restituzione del prestito:
1) durante la vita del debitore questo dovrebbe restituire solo gli interessi e le spese (infatti la legge parla di capitalizzazione annuale di interessi e di spese) e alla morte del debitore la banca può chiedere (agli eredi) la restituzione del prestito in un unica soluzione, e nell'ipotesi di impossibilità, vendere l'immobile ipotecato a garanzia del prestito;
2) oppure un normale mutuo con restituzione di capitale, interessi e spese durante la vita del debitore, ma con la facoltà del creditore di chiedere il rimborso integrale in un'unica soluzione al momento della morte del soggetto finanziato ovvero qualora vengano trasferiti, in tutto o in parte, la proprietà o altri diritti reali o di godimento sull'immobile dato in garanzia o si compiano atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull'immobile.
Il prestito è garantito da ipoteca e dal testo di legge sembra che possa essere solo un'ipoteca di 1 grado (in mancanza tale contratto potrebbe non essere stipulabile) e sembra anche che l'ipoteca di primo grado possa essere iscritta solo su immobili residenziali, l'ipoteca a garanzia del prestito non può essere iscritta contemporaneamente su più immobili di proprieta' del finanziato.
Sarà la prassi (e la giurisprudenza) a dire come, in concreto, sarà applicato tale istituto, ma risulta evidente che i creditori hanno l'interesse ad inserire una clausola del tipo "alla morte del debitore mi dovrà essere restituito tutto e subito (in un unica soluzione)" in ogni tipo di mutuo indipendentemente dal debitore.
Problemi ereditari. La presenza di questo tipo di clausole "ad estinzione immediata" in caso di morte porta anche ad una serie di complicazioni per gli eredi. Infatti, alla morte del debitore, il debito comunque cade in successione, di conseguenza, in caso di accettazione dell'eredità, del debito rispondono anche gli eredi del debitore, i quali potrebbero anche non sapere della clausola dell'immediata restituzione del debito in caso di morte, ecco, quindi, che per gli eredi diventa necessario accettare l'eredità con beneficio di inventario (al fine di tenere distinto il proprio patrimonio da quello ereditario).
E' anche previsto che qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dalla morte il finanziatore vende l'immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso. Trascorsi ulteriori dodici mesi senza che sia stata perfezionata la vendita, tale valore viene decurtato del 15 per cento per ogni dodici mesi successivi fino al perfezionamento della vendita dell'immobile. In alternativa, l'erede può provvedere alla vendita dell'immobile, in accordo con il finanziatore, purchè la compravendita si perfezioni entro dodici mesi dal conferimento dello stesso. Le eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e non portate a estinzione del predetto credito, sono riconosciute al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa. L'importo del debito residuo non può superare il ricavato della vendita dell'immobile, al netto delle spese sostenute.
Risulta evidente che la norma sembra attribuire al creditore un potere di vendita diretto del bene senza passare per la procedura esecutiva (sarebbe interessante chiedersi come tutto questo potrebbe conciliarsi con la presenza di eredi incapaci e le autorizzazioni necessarie per compiere atti dispositivi).
Nei confronti dell'acquirente dell'immobile non hanno effetto le domande giudiziali di cui all'articolo 2652, primo comma, numeri 7) e 8), del codice civile trascritte successivamente alla trascrizione dell'acquisto.
Legge 2 aprile 2015 n. 44 in pdf