Risoluzione del contratto per inadempimento
Dopo aver stipulato un contratto a prestazioni corrispettive può capitare che una delle due parti è inadempiente alle obbligazioni assunte con il contratto. In presenza dell'inadempimento di una parte l'altra può chiedere la risoluzione del contratto.
La domanda di risoluzione presuppone l'accertamento dell'inadempimento e la valutazione della gravità dell'inadempimento.
La clausola risolutiva espressa
Il legislatore mette a disposizione delle parti alcuni strumenti che possono velocizzare il procedimento di risoluzione del contratto in caso di inadempimento.
Uno di questi meccanismi è la clausola risolutiva espressa regolata dall'art. 1456 cc. Dalla stessa locuzione usata dal legislatore (clausola) si comprende che non si è in presenza di un meccanismo che è inserito nel contratto di diritto, ma si un meccanismo che opera solo se le parti contrattuali hanno convenuto di inserite tale "clausole" risolutiva espressa nel contratto. Inoltre, non si tratta di un meccanismo che non opera automaticamente, in caso di inadempimento, ma si è in presenza di un meccanismo che opera se la parte decide di volerlo usare comunicando all'altra la risoluzione per quanto previsto dalla clausola.
Altra caratteristica della clausola risolutiva espressa è data dal fatto che la clausola deve riferirsi all'inadempimento di specifici obblighi (in altri termini non può essere generica).
I vantaggi portati dalla clausola sono sostanzialmente due: 1) quando si realizza l'inadempimento dell'obbligazione indicata nella clausola, l‘inadempimento si presume grave (e non di scarsa importanza); 2) in teoria se la parte decide di avvalersi della clausola, la risoluzione avviene di diritto senza l'intervento del giudice (se la parte adempiente decide di non avvalersi della clausola potrà sempre chiedere la risoluzione per inadempimento normale).
In poche parole la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza.
La clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione
La clausola risolutiva espressa può anche essere inserita in un contratto di locazione, prevedendo, ad esempi che il mancato pagamento del canone di locazione (il primo di ogni mese) comporta la risoluzione espressa del contratto ex art. 1456 cc, in questo contesto se il canone non viene pagato il primo giorno di ogni mese e se il proprietario decide di avvalersi della clausola risolutiva espressa il contratto di locazione è risolto di diritto, in quanto l'inosservanza del termine di pagamento è stato considerato dalle parti come grave inadempimento.
Vessatorietà della clausola risolutiva espressa
Anche se il meccanismo della clausola risolutiva espressa tende a facilitare la risoluzione del contratto le contestazioni che possono sorgere in relazione all'applicabilità della clausola risolutiva espressa non sono ridotte o semplificate.
Infatti, occorre chiedersi se ha natura vessatoria la clausola risolutiva espressa (inserita in un contratto di locazione ad uso non abitativo) avente ad oggetto l'inosservanza del termine di pagamento del canone di locazione.
In generale la clausola risolutiva non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, comma 2, c.c., in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cass. 23065/2016; conf. 15365/2010).
In particolare, va ribadito che non hanno carattere vessatorio le clausole riproduttive del contenuto di norme di legge; pertanto, non può considerarsi vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all'ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni, quando la clausola riproduce il criterio legale di predeterminazione della gravità dell'inadempimento di cui all'art. 5 della legge 27 luglio 1978 n. 392; disposto quest'ultimo non applicabile direttamente alle locazioni non abitative, ma ritenuto utilizzabile per quest'ultime come parametro per valutare la gravità dell'inadempimento.
Clausola risolutiva espressa e procedimento di sfratto
Occorre, infine, anche valutare se la presenza di una clausola risolutiva espressa consente al proprietario di usare il procedimento di sfratto sommario ex art. 658 cpc e ss oppure se l'uso del procedimento sommario preclude al proprietario di usare la clausola risolutiva espressa.
Non vi è incompatibilità, in linea di principio, in controversia avente ad oggetto locazione di immobile ad uso non abitativo, tra scelta del giudizio sommario di sfratto per morosità ed operatività della clausola risolutiva espressa.
Nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione, alle quali (come noto: v. Cass. sez. unite 272/1999) non si applica la disciplina di cui all'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (relativa alla concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti e per la sanatoria del relativo inadempimento; c.d. termine di grazia), l'offerta o il pagamento del canone, se effettuati dopo l'intimazione di sfratto, non consentono, da una parte, attesa l'insussistenza della persistente morosità di cui all'art. 663, terzo comma, c.p.c., l'emissione, ai sensi dell'art. 665 cod. proc. civ., del provvedimento interinale di rilascio con riserva delle eccezioni, ma non comportano, dall'altra, nel giudizio susseguente a cognizione piena, l'inoperatività della clausola risolutiva espressa, in quanto, ai sensi dell'art. 1453, terzo comma, cod. civ., dalla data della domanda – che é quella già avanzata ex art. 657 cod. proc. civ. con l'intimazione di sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto – il conduttore non può più adempiere.
Cass., civ. sez. III, del 8 novembre 2018, n. 28502