L'originale testo dell'art. 1120 c.c. del 1942 rubricato come
“innovazioni” prevedeva che “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell’articolo 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni”. Sempre il medesimo articolo vietava le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilita o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.Occorre notare che l'originario 1120 c.c. del 1942 regolava, in modo generico, solo le innovazioni (non indicava quale tipo di opera doveva essere considerata come innovazione e non distingueva tra le innovazioni in base alla finalità o scopo della stessa), ma, soprattutto, il codice civile del 1942 non prevedeva nessuna norma in materia di cambio di destinazione d'uso dei beni condominiali ricompresi nell'art. 1117 c.c. Diversa è la situazione dopo la riforma del 2012 del condominio.
La riforma del condominio del 2012 ha profondamente inciso sulla questione distinguendo tra “innovazioni” e “cambio di destinazione d'uso” dei beni. Infatti, il nuovo art. 1120 c.c. relativo alle innovazioni prevede che “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136 c.c., (cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio) possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni. I condomini, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell'articolo 1136, (cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio) possono disporre le innovazioni che, nel rispetto della normativa di settore, hanno ad oggetto:
- 1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;
- 2) le opere e gli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per il contenimento del consumo energetico degli edifici e per realizzare parcheggi destinati a servizio delle unità immobiliari o dell'edificio, nonché per la produzione di energia mediante l'utilizzo di impianti di cogenerazione, fonti eoliche, solari o comunque rinnovabili da parte del condominio o di terzi che conseguano a titolo oneroso un diritto reale o personale di godimento del lastrico solare o di altra idonea superficie comune;
- 3) l'installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino alla diramazione per le singole utenze, ad esclusione degli impianti che non comportano modifiche in grado di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Sia prima della riforma del condominio del 2012, sia dopo la riforma sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità dell'edificio o che alterano il decoro architettonico dello stesso o che rendano inservibili all'uso o al godimento anche di uno dei proprietari.
Però, sia il codice del 1942 sia la riforma del 2012 non spiegano cosa si deve intendere per innovazioni (anche al fine di distinguere detto concetto dal cambio di destinazione d'uso del bene, che non è altro che una innovazione anche se particolare). Sul punto può fornire un qualche aiuto la giurisprudenza, secondo la quale “costituisce innovazione ex art. 1120 cod. civ., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l’entità materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l’esecuzione della opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene più intenso e proficuo, si versa nell’ambito dell’art. 1102 cod. civ., che pur dettato in materia di comunione in generale, è applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell’art. 1139 cod. civ.” (Cass. n. 240 del 1997; Cass. n. 2940 del 1963).
Quindi, almeno per la giurisprudenza anteriore alla riforma del condominio del 2012 (non sussisteva molta differenza tra mera innovazione e il cambio di destinazione d'uso del bene) e, in particolare, il cambio di destinazione d'uso del bene poteva essere una conseguenza dell'esecuzione di opere materiali e poteva consistere in un mutamento fisico del bene (una trasformazione materiale del bene), ma è principio pacifico che anche in assenza di una trasformazione materiale del bene (in assenza di un mutamento fisico) il mutamento può esserci e, in particolare, il mutamento può essere solo virtuale e derivare da un cambio di destinazione d'uso del bene.
Sulla base di quanto esposto è possibile sostenere che la riforma del condominio del 2012 ha cercato di codificare questo principio giurisprudenziale ed ha ammesso e regolato una particolare “innovazione” che consiste nel cambio di destinazione d'uso del bene condominiale. Infatti, l'art. 1117 ter c.c. rubricato con il titolo di “Modificazioni delle destinazioni d'uso” stabilisce che “Per soddisfare esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti comuni. Sono vietate le modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico”.
Anche nell'ipotesi di cambio di destinazione d'uso del bene è previsto il divieto di arrecare pregiudizio alla stabilità dell'edificio o al decoro architettonico.
Dalla lettura del 1117 ter c.c. risulta che il cambio di destinazione d'uso del bene e innovazioni rientrano sempre nell'ambito della grande famiglia delle modifiche ai beni e resta il problema della differenziazione tra innovazioni e mutamento d'uso del bene. Su questa strada è possibile affermare che il cambio d'uso non è vincolato all'esecuzione d'opere sul bene stesso (cioè non è necessaria una modifica fisica del bene), ma il cambio di destinazione d'uso del bene può essere anche solo virtuale (come, ad esempio, all'uso del cortile anche per il parcheggio d'auto).
Forse, però, c'è un'altra differenza tra innovazioni e cambio di destinazione d'uso e riguarda il divieto presente nel nuovo art. 1120 c.c. che vieta le innovazioni “che rendono inservibili il bene all'uso o al godimento” anche di uno solo dei proprietari e la mancanza di un analogo divieto nell'art. 1117 ter c.c. relativo al cambio di destinazione d'uso dei beni condominiali. Si tratta, sicuramente, di una svista del legislatore, poichè sarebbe assurdo pensare che sono vietate solo le innovazioni che rendono inservibile il bene comune, mentre sarebbero ammessi i cambi di destinazioni d'uso che rendono inservibile il bene comune (soprattutto se si considera che le innovazioni ex art. 1120 c.c. e cambio di destinazione d'uso ex art. 1117 ter c.c. sono compresi nell'ambito della stessa famiglia giuridica delle modifiche e che, comunque, il cambio di destinazione d'uso è sempre una "innovazione").
L'unica conclusione logica a cui è possibile pervenire è che la locuzione presente nell'art. 1120 c.c. deve essere interpretata (come espressione di un principio generale) nel senso di sono vietate le innovazioni (intese sia come innovazioni ex art. 1120 c.c. sia intese come cambio di destinazione d'uso del bene ex art. 1117 ter c.c.) che rendono completamente inservibili il bene all'uso o al godimento i beni comuni.
Cassazione civ. sez. II del 16 gennaio 2013 n. 945 in pdf