La fine di un rapporto di locazione è (quasi sempre) traumatico, sia per il conduttore, sia per il proprietario.
Soprattutto quando la cessazione del contratto dipende da morosità, in queste situazioni, quando non si riesce a giungere a situazioni ricalcolo del canone, (con un nuovo accordo), la morosità del conduttore produce sempre lo sfratto.
Infatti, per il conduttore, il fastidio è dovuto al cambio di locale, dopo anni di abitudini acquisite. Mentre, per il proprietario, il problema sorge nell'ipotesi di morosità dell'inquilino, cominciando dalla necessità di farsi dichiarare da un giudice la morosità, per poter avere un titolo per liberare l'immobile dall'inquilino moroso (compresi i beni dell'inquilino ancora allocati nell'immobile), finendo al rapporto con il fisco per le somme che dovevano essere percepite come canone e, in realtà, non incassate, ma sulle quali il sistema tributario pretende il pagamento delle tasse.
L'art. 26 comma 1 del DPR del 22 dicembre 1986 n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi) prevede che "I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare".
Quindi, in caso di morosità dell'inquilino, il proprietario deve pagare le tasse sui canoni di locazione (anche se non percepiti) fino al momento di conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto.
E' opportuno osservare che la norma si riferisce solo alla locazione ad uso abitativo e non si riferisce alla locazione ad uso commerciale, ma tale norma viene applicata (dagli enti impositori) per estensione anche alle locazioni commerciali (applicazione estensiva anomala, trattandosi, di norma speciale, in deroga al diverso sistema di tassazione della rendita fondiaria degli immobili).
In altre parole, la regola generale è che la tassazione del reddito degli immobili è la rendita catastale, se, invece, l'immobile è locato alla rendita catastale si sostituisce (come norma speciale) il reddito dato dal canone di locazione, ma questo è previsto solo per gli immobili ad uso abitativo e non è previsto per gli immobili ad uso commerciale. Trattandosi, quindi, di una norma speciale, non potrebbe trovare applicazione analogica (cioè non potrebbe essere estesa ad altre fattispecie simili) v. Corte Costituzionale del 26 luglio 2000 n. 362.
Purtroppo, per evitare "problemi" con il fisco, anche in presenza di locazione commerciale, il contribuente segue l'identico criterio previsto per la locazione ad uso abitativo, abrogando, di fatto, l'intera normativa.
Il problema, ovviamente, non è solo quello relativo al pagamento delle imposte sul canone non percepito tra l'inizio della morosità e la convalida si sfratto, ma il problema è se il contribuente può "recuperare" la differenza versata (a fini prudenziali) in attesa dell'accertamento sulla morosità dell'inquilino.
In modo più chiaro può capitare che l'inquilino di un locale commerciale sia moroso, il proprietario inizia il procedimento giudiziale per lo sfratto e, per un qualsiasi motivo, (sostituzione del giudice, contestazione del canone o altro) la convalida dello sfratto arriva dopo qualche mese, oppure, occorre attendere la sentenza. In una situazione simile, il contribuente che, per evitare di avere "problemi" con il fisco decide di continuare a versare le imposte su un canone non percepito, potrà riavere quanto pagato in più ?
La risposta dell'Agenzia delle Entrate è lapidaria:
Per le locazioni di immobili non abitativi il legislatore tributario non ha previsto una disposizione analoga.
Ne consegue che:
– il relativo canone, ancorché non percepito, va comunque dichiarato, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione, fino a quando non intervenga una
causa di risoluzione del contratto medesimo;
– le imposte assolte sui canoni dichiarati e non riscossi non potranno essere recuperate.
Circolare dell'Agenzia delle Entrate 11/E del 21 maggio 2014 in pdf